VITTORIO MESSORI

vent’anni dopo….

Dopo un periodo di ‘oscuramento’, dovuto a problemi tecnici e non, ritorna on line il sito dedicato a Vittorio Messori, in questa sua quarta versione. Mi accorgo che sono trascorsi ben dieci anni dall’ultima. E, soprattutto, ben vent’anni dalla prima. Questa quarta versione, abbozzata l’anno scorso su un’altro spazio, per le gravi difficoltà tecniche intervenute che hanno portato il sito a ‘scomparire’, è nata quasi da un impeto, da uno slancio improvviso, in un periodo denso di impegni e di cambiamenti personali. E’ come se questi ‘vent’anni’ avessero ‘bussato’ forte e ripetutamente, assieme al pensiero che il suo Protagonista sta ormai da anni vivendo l’ultima stagione della sua vita. Insomma: non potevo lasciare il relitto di uno strumento del ricordo, ma dovevo tornarci sopra, impiegando le conoscenze nel frattempo maturate per altri lavori, per dar vita ad una nuova, ultima versione che cogliesse -oltre a quel ‘ricapitolare ogni cosa’ che è insito nel dna del cattolico- anche il senso di anni ed anni di silenzio dello scrittore, debilitato nel corpo e discretamente uscito di scena. La scelta del bianco e del nero, dei toni del grigio risponde a questa volontà di cogliere l’inoltrarsi dell’uomo e del cristiano nel Mistero, esplorato con lo studio, la lettura, l’indagine instancabile e meticolosa; ma anche con la preghiera intima e profonda, oltre che -fino al 2022- in un rapporto coniugale straordinario, ricchissimo, guadagnato fra mille sofferenze. Ma l’assenza quasi totale di colori esprime la volontà di riportare sulla piattaforma elettronica i ‘colori della stampa’, il bianco ed il nero che consentono da secoli alla parola scritta di risaltare, di essere letta e, appunto, impressa nella memoria. Ciò che ritroverà qui il visitatore già passato da queste parti non lo soprenderà. Egli si avvederà che mancano alcuni testi importanti: il primo è l’ultima porzione del racconto della vita, dal 2010 ad oggi. Il perchè è semplice: tutto il testo delle pagine precedenti -come avranno intuito i fedelissimi- era stato scritto da Vittorio stesso, in quella che è quasi un’autobiografia. Toccherà a me completarla, a breve, dopo il lancio odierno di questa quarta versione. Così come presto verrà dedicata una sezione al meritorio lavoro che l’editrice ARES sta eseguendo da anni, nel recuperare i diritti dei libri di Messori, per poterli ristampare e diffondere, donando alla nuove generazioni di cattolici l’occasione che è stata concessa a noi. Quella di provare lo stupore per il modo con il quale è stato possibile per un convertito, un outsider, sia riuscito a condurre alla fede più di una generazione di lettori.

Sebastiano Mallia, 6 agosto 2024.

P.S. Per una di quelle ‘coincidenze’ che a Messori piacerebbero, il completamento di questo opus avviene il gionro della festa della Trasfigurazione: della fuoruscita, eccezionale e sconvolgente, dall’Essere dal Mistero da cui è velato. Ma oggi anche per me è un giorno speciale: il compleanno dell’uomo e del prete che mi ha riportato alla fede cattolica. A lui e a Vittorio Messori, in effetti, devo molto del credente che sono.

Ipotesi su Maria

29 gennaio 2006 :: Nuovo Dialogo (Diocesi Taranto)

 

 

 

di Antonio Cecere

De Maria numquam satis. Di Maria non si dirà mai abbastanza, non si sarà mai sazi. O perlomeno non si potrà mai fare a meno di guardare, sempre con grande entusiasmo, a Maria. La storia della Chiesa e del cattolicesimo ha definito, come noto, quattro dogmi essenziali: la Maternità divina, la Verginità perpetua, l’Assunzione al Cielo e l’Immacolata Concezione di Maria. Come osserva Messori nel capitolo intitolato Privilegi. E altro, permane nella teologia cattolica contemporanea quella polemica che revisiona, in un certo senso, quella precedente al Concilio. E’ la cosiddetta mariologia dei privilegi. La mariologia dei privilegi è quella cioè che “ sottolinea l’unicità di Maria: la sola Madre di Dio; la sola preservata dal peccato originale; la sola già assunta in cielo in corpo e anima; la sola che abbia diritto a un culto speciale ”. Ma tale prospettiva per molti è un errore. Maria, nel testo messoriano, diviene la protagonista di una grande storia. Una storia della salvezza, con una Madre, Maria, che ama il Figlio: come qualunque Madre lo aiuta, lo difende, lo ama. Maria è il ponte verso il Figlio. Il culto per Lei non è mai disgiunto dall’essere proiettato verso il Figlio. Lo stesso Rosario, come ha sottolineato nella Rosarium Virginis Mariae Giovanni Paolo II, è una preghiera cristocentrica. Messori comunque non si sofferma solo sulle dimensioni teologiche, ma da buon giornalista, quasi da investigatore, va alla ricerca delle esperienza mariane che segnano di più la nostra fede. Ma prima di tutto è necessario ricordare la posizione della teologia protestante. Secondo le definizioni di Karl Barth la mariologia è l’escrescenza tumorale del cattolicesimo. La stessa grotta di Lourdes, dove Maria apparve a Bernadette Soubirous, per il teologo svizzero è un bubbone della cristologia autentica. Come si vede dalle affermazioni forti barthiane, il protestantesimo non ha mai considerato, fin dai tempi di Lutero, nella sua giusta dimensione, Maria. Come sottolinea nelle sue pagine l’autore, il protestantesimo sta riuscendo in un intento: quello di portare, in maniera sempre più forte, la polemica anti – mariana anche nel dialogo ecumenico. E molti teologi cattolici politically correct tendono ad accettare l’esclusione nel cammino ecumenico di Maria. Ma non così i fratelli delle Chiese Ortodosse, dove il culto per Maria è straordinariamente ricco. Dicevo prima che Messori è un po’ investigatore, nelle pieghe del grande disegno divino che unisce comunque Oriente e Occidente. La Chiesa ortodossa vede Maria soprattutto come Madre di Dio. La Chiesa cattolica la individua soprattutto come la Madre degli uomini. Due accentuazioni diverse, scrive Messori, che si riflettono nell’arte. Nelle icone Maria diviene “ abitatrice dell’empireo celeste ”. In Occidente invece vi sono “ quadri e statue segnati talvolta da un eccessivo realismo; da una umanità magari sospetta”. La Cristianità, come diceva Giovanni Paolo II deve tornare a respirare con i due polmoni, Oriente e Occidente. Sarà così preservata quella legge dell’et-et che presiede alla fede autentica, anche in ambito mariano. Ma andiamo avanti. A parte gli excursus nella teologia, Messori dedica moltissime pagine alle apparizioni mariane più famose e a quei fili sottilissimi che appaiono gli anni della storia. Si potrà scoprire che c’era un motivo, diremmo quasi scientifico, per cui la Vergine apparve a Lourdes. Nel 1062 ci fu la donazione alla Madonna di Le Puy del castello, della città e dell’intera contea di Bigorre (la regione dove è situata Lourdes), fatta dal conte Bernardo I. Ogni anno, fino a quando durò la contea francese di Bigorre, fu versato un tributo a cui dovette sottostare anche Filippo il Bello, il famoso re di Francia. Chiunque entrava in possesso di quel territorio diveniva, fin dal Medioevo, vassallo, sottomesso alla Madonna di Le Puy. Con la Rivoluzione francese la diocesi di Le Puy fu abolita, col rogo anche dell’immagine veneratissima. Fu Carlo X a ristabilire la diocesi di Le Puy, ritornando a pagare il tributo della tradizione. Ma in seguito all’altra rivoluzione che portò al trono di Francia Luigi Filippo, con il 1830, si concludeva il riconoscimento dell’autorità mariana su Lourdes e sulla Bigorre. A Le Puy era venerata da tempo la Vergine dell’Annunciazione, Ed è proprio nel giorno della festa dell’Annunciazione, il 25 marzo del 1858, Maria apparve a Bernadette. Ma vediamo anche altre coincidenze, riprese da Messori. Le Puy è un santuario che nel tempo è stato meta di pellegrinaggi, disponendo di una sorgente d’acqua riconosciuta come miracolosa. Il castello di Le Puy, che ancora oggi fronteggia la facciata dei tre santuari di Lourdes, ebbe una bandiera mariana che garrì per tantissimo tempo sulla torre più alta. Ma altre sono le coincidenze della storia a Lourdes. Come osservò un uomo di legge, citato da Messori, gli obblighi di un feudatario si estinguevano sul territorio in trent’anni, senza il versamento dei tributi. L’ultimo tributo, come detto, fu del 1829. Trent’anni sarebbero scaduti nel 1859. La corona di contessa della Bigorre non aggiungeva nulla a Maria. Ma all’ultima ora, nel 1858, “ ella è apparsa nella Bigorre, per chiedervi, con l’omaggio dei suoi cari e antichi vassalli, quello di tutto il mondo”. A Le Puy Maria era chiamata come Madre di tutti. Messori tiene a sottolineare per bocca di un giurista francese che a Lourdes oggi si utilizza il titolo, dal vecchio privilegio feudale, Nostra Madre! Pura coincidenza? O non invece un grande progetto, che ebbe, in quel 1858, il suo punto di arrivo? Messori scova negli archivi. Lavora di fioretto con chi non vede in maniera corretta la mariologia. Va alla ricerca dei tratti salienti della presenza mariana nella storia: oltre Lourdes, Messori si sofferma sulle straordinarie dimensioni teologiche della storia nelle vicende di La Salette, nelle apparizioni a S. Caterina Labouré (interessante in questo caso la storia delle 12 stelle della bandiera della Cee, richiamo forte dell’autore del bozzetto, Arsène Heitz, alla medaglietta miracolosa famosa in tutto il mondo), a Fatima (l’analisi è legata anche al rispetto del mondo islamico per quel luogo, Fatima, il nome della figlia di Maometto), nella storia di San Giovanni Bosco e in tanti altri luoghi mariani, come Banneux, in Belgio. Il libro Ipotesi su Maria non vaglia solo ipotesi. Ma anche, e soprattutto, certezze storiche e di fede. Sempre di più dovremo dire che di Maria non si sarà mai detto abbastanza. La storia divina, sempre, con discrezione, continuerà il suo lavoro nascosto e certosino. Per noi resterà sempre un grande quadro, dove ogni cosa troverà il suo posto. La devozione mariana è fede viva, attenta. Questo non sarà mai poco.

© Nuovo Dialogo

VITTORIO MESSORI: «E ADESSO SCOMMETTO SULLA MORTE PERCHÉ SO IN CHI HO CREDUTO»

Corriere della Sera, 2 marzo 2021 di Stefano Lorenzetto

Lasciando la direzione del Foglio, Giuliano Ferrara spiegò che «a 63 anni bisogna imparare a morire». Vittorio Messori si è portato avanti con i compiti da quando ne aveva 41 ed è prossimo a compierne 80 in questo 2021. «Problemi al cuore. Ma va bene così. Sono crollato proprio qua», si lascia sfuggire elusivo, e non vuole aggiungere una sola parola. «Qua» è il suo pensatoio dentro l’abbazia benedettina di Maguzzano, affacciata dal IX secolo sul lago di Garda, in cui visse Merlin Cocai, alias Teofilo Folengo. Lo scrittore è certo che le due stanzette, intasate da 15.000 libri, gli furono concesse in comodato d’uso grazie all’intercessione celeste di don Giovanni Calabria, un prete ritenuto matto perché confidava solo nella divina provvidenza, e infatti fu sottoposto a quattro sedute di elettroshock. Invece era santo, come sancì Giovanni Paolo II nel 1999. Messori anticipò il precetto ferrariano con Scommessa sulla morte, uscito nel 1982 sull’onda del successo (1 milione di copie, 26 traduzioni) di Ipotesi su Gesù, scritto dopo la conversione al cattolicesimo. «Ora che si avvicina il momento di passare all’altra vita, ho deciso di donare questa biblioteca e quella di casa a un’associazione di teologia. Ho già dettato l’iscrizione per la lapide sulla tomba».

Il tema non mi sembra di attualità.

«Lo è sempre. Nome, cognome, data di nascita, data di morte. E “Scio cui credidi”, so in chi ho creduto, come scrive Paolo nella Seconda lettera a Timoteo».

Mi confidò che vorrebbe essere sepolto in questo complesso monastico.

«Sì, unico laico fra i religiosi dell’Opera Don Calabria. Due semplici pietre in un angolino, una per me e l’altra per mia moglie con la frase “Cor ad cor loquitur”, il cuore parla al cuore, motto cardinalizio di san John Henry Newman. Ma i parenti di Rosanna ci vorrebbero nella cappella di famiglia, nel cimitero di Treviglio».

Vabbé, passiamo ad altro.

«E perché? “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti”. Salmo 90. La vita eterna è l’unico tema. La Chiesa oggi è una succursale dell’Onu, non ne parla. Questa è riduzione al mondo. Ma Vangelo significa buona notizia, in greco. Gesù non si occupò di politica, nella sua predicazione non condannò neppure la schiavitù. Venne a schiuderci le porte del paradiso. Prima lo sheol per gli ebrei era il regno dei morti, del buio». Quel giorno chi le verrà incontro per primo? Un angelo? San Pietro? Dio? «Non posso prevederlo. So che bisogna dimenticare la Divina Commedia».

L’aldilà non è la parodia dell’aldiquà.

«Per la Chiesa è paradiso, purgatorio o inferno. Preghiamo perché ai nostri cari sia accorciata la permanenza nel secondo, ma nell’aldilà non esiste il tempo».

E se lei finisse all’inferno?

«I santi c’insegnano che ci va solo chi lo vuole, chi rinnega coscientemente Dio. Hans Urs von Balthasar disse, o gli fecero dire, che “l’inferno esiste, ma è vuoto”. Sarà. Tuttavia non intendo diventare il primo inquilino che lo inaugura».

Boccaccio confessò: «Spero che la morte mi colga mentre sono intento a leggere o a scrivere o, se a Dio piacerà, mentre prego e piango». Lei cosa spera?

«Parlava così per farsi perdonare il Decameron. Io prego perché la morte mi trovi vivo. E perché mi sia risparmiato un decesso improvviso: vorrei congedarmi con il conforto dei sacramenti».

Ha un animale domestico?

«Un tempo ero gattolico praticante. Ho avuto Micetto e Micetta. Il maschio tornava a casa ferito, ma farlo castrare mi sembrava una crudeltà. Alla fine ho inventato Baratto e Malvagio, gatti immaginari. Aiutano a evitare i litigi fra coniugi. Diamo a loro la colpa di tutto».

Paolo VI consolò un bimbo che piangeva la morte del suo cane, dicendogli che l’avrebbe rivisto in paradiso. È così?

«Non è un dogma. Ma credo che tutto ciò che abbiamo amato sarà salvato».

Questa sì che è fede.

«Ero l’allievo prediletto di Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e Luigi Firpo, la trimurti del laicismo. Non avevo alcuna intenzione di diventare cristiano, meno che mai cattolico. Ma cascai dentro una sorta di buco bianco».

Come e quando?

«Nell’estate del 1200, pardon, che lapsus linguae! Del 1964, la più calda del secolo scorso. I miei genitori, entrambi mangiapreti, erano in vacanza. Stavo controllando una citazione nel Vangelo, che non avevo mai aperto in vita mia. Non so che mi accadde. Cercai di resistere, ma non vi fu niente da fare. Quando scoprì la conversione, mia madre voleva farmi visitare da uno psichiatra. Galante Garrone mi diseredò moralmente sulla prima pagina della Stampa. Se ora lei mi puntasse una pistola alla tempia e m’ingiungesse di affermare che il Vangelo è una bufala, le direi: spari pure».

Dovette cambiare radicalmente vita.

«Da universitario mi mantenevo facendo il centralinista di notte alla Stipel, la compagnia telefonica di Torino, con altri giovanotti aitanti. Lo sport preferito delle signore sole era di chiamarci, invitandoci ad andarle a trovare di giorno. Divenuto credente, stracciai l’agendina con i loro numeri e gli indirizzi. Quella fu l’unica volta che scoppiai a piangere».

Nel 1971 le nozze, che durarono poco.

«Con la sorella del mio miglior amico, oggi diventata testimone di Geova. Mi circuì mentre ero ricoverato in ospedale, in stato di costrizione psicologica, come testimoniò davanti alla Sacra Rota».

Ne seguì una lunga causa di nullità.

«Conobbi Rosanna Brichetti alla Pro Civitate Christiana di Assisi. Ci sposammo quando lei aveva 57 anni e io 55. Per 30 abbiamo vissuto come fratello e sorella, in case separate. Il cardinale Joseph Ratzinger convinse papa Wojtyla a riaprire il fascicolo sull’unica persona che aveva scritto saggi con entrambi. Fui minacciato di morte dopo che pubblicai Rapporto sulla fede con l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio: dovetti nascondermi in un convento dei barnabiti. Fino a quel momento la Congregazione per la dottrina della fede si era sempre espressa con due sole formule: “licet” o “non licet”».

Lei compirà 80 anni il 16 aprile, quando Benedetto XVI ne festeggerà 94.

«Sì, abbiamo in comune il dies natalis di santa Bernadette Soubirous, il giorno della sua nascita al cielo. Per anni ho trascorso le mie vacanze estive a Lourdes. Il rettore del santuario voleva che mi ci trasferissi come capo dell’ufficio stampa».

A Medjugorje c’è mai stato?

«Dopo le prime apparizioni. Lavoravo per Jesus. La polizia mi fece spogliare, dovetti togliermi persino le mutande».

E che conclusioni ne trasse?

«Il codice di diritto canonico stabilisce che solo i vescovi locali possano giudicare questi eventi. Il Vaticano non si è mai espresso né su Lourdes né su Medjugorje. Il presule di Mostar era scettico, ostile. Ma Gesù insegna che dai frutti si riconosce l’albero. Ebbene il paradosso è che l’albero di Medjugorje lascerà magari a desiderare, ma i frutti sono eccellenti: i pellegrini tornano da là tutti migliori».

Saprebbe dirmi per quale motivo la Madonna appare ovunque e Gesù mai?

«Gesù è anche Dio. Maria è solo donna, fa parte dell’umanità. È il trait d’union fra la terra e il cielo».

Incontra ancora il Papa emerito?

«Non oserei mai disturbarlo. Un giorno mi telefonò il suo segretario Georg Gänswein: “Sua Santità la rivedrebbe volentieri, ma lei dovrà dimenticarsi di essere un giornalista”. Peccato, perché fece commenti sulla situazione della Chiesa che erano da prima pagina. Sulla scrivania teneva solo due giornali, il Corriere della Sera e la Süddeutsche Zeitung».

Che cosa pensa di quei cattolici convinti che il «vero» papa sia ancora lui?

«Non li seguo. Osservo solo che ha voluto restare vicino a Pietro».

Sente la mancanza dei figli?

«A me piacciono i bambini degli altri. Non avevo la vocazione alla paternità».

Sua moglie è laureata in sociologia con una tesi sul femminismo, ha lavorato al Censis, ha girato l’Italia a raccogliere pareri sulla legge Basaglia. Non sembrerebbe una messoriana.

«È laureata anche in giurisprudenza e in teologia. Di quella tesi ancora si vergogna. Fu una vittima del ’68. L’ho guarita».

Ma perché passa per reazionario?

«Lo ignoro, ho sempre cercato di essere solo cattolico. Mi considero un uomo del Concilio Vaticano II. Non ho mai partecipato a una messa in latino. Anzi, sarei stato a disagio nella Chiesa di prima».

Che rapporti ha con l’Opus Dei? «Di amicizia, come con Comunione e liberazione. Ma non ne faccio parte».

Il Vangelo non parla di peccati mortali e veniali. Lei crede a questa distinzione?

«Mah, insomma… Dopo la morte ci attende un tribunale. E i giudici irrogano le pene secondo la gravità delle colpe».

Se il sesso serve solo a procreare, quale peccato commette un marito il quale abbia già avuto figli e vi ricorra fuori dal matrimonio qualora la moglie si rifiuti di avere rapporti coniugali?

«Non ho una risposta. La lascio ai confessori. Guardi, quando iniziai a fare l’apologeta, decisi di astenermi da tre attività: dichiarare per quale squadra tifo, parlare di politica, trattare di morale. Sono argomenti che dividono. La Chiesa fa la moralista. Ma la morale cristiana senza essere cristiani appare disumana».

Non si è mai occupato di temi etici.

«È vero. E mi sono attirato diffidenze, se non rimproveri, per questa assenza. Che vuole mai, è la sindrome del convertito. Ciò che m’interessa è la fede, la possibilità stessa di credere, di scommettere sulla verità del Vangelo. Il resto è solo una conseguenza. Etica, società, lavoro, politica… Tutto necessario ma assurdo, se prima non si saggia l’esistenza e la resistenza del chiodo che deve reggere ogni cosa. E quel chiodo è Gesù».

«Se vuoi vivere bene, pensa alla morte»

Intervista su Libero del 20/12/2020 di Alessia Ardesi

«Sono cresciuto nel tempio del laicismo torinese, alla scuola di Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone. A loro la religione non interessava, la ritenevano un problema senza soluzione. Erano agnostici, come me».  Poi, nell’estate del 1963, mentre stava consultando un libro di storia per la tesi di laurea, Vittorio Messori si imbatté in una citazione evangelica. Non avendo mai letto il Vangelo decise di verificarla su una Bibbia che era stata regalata ai suoi genitori che, da buoni emiliani, erano anticlericali. «Iniziando a sfogliarla sono caduto in una sorta di buco bianco, al contempo doloroso e gioioso. E sono finito in un’altra dimensione, con una nuova prospettiva di fede. La sensazione della caduta, in due o tre mesi,è svanita. Ma rimangono le cose che ho imparato durante questa caduta. Non sono un visionario. Però quell’evento cambiò la mia vita». Vittorio Messori, 80 anni il prossimo aprile, dopo la morte di Umberto Eco è lo scrittore italiano che ha venduto più libri nel mondo. I suoi long-seller, da Ipotesi su Gesù a Patì sotto Ponzio Pilato?, hanno esplorato i temi della fede, della morte, della resurrezione, dell’Aldilà.

Messori, la vita eterna è solo un’ipotesi? O possiamo crederci?

«Certo, l’Aldilà esiste, ma non come lo immagina Dante. La Divina Commedia va considerata una meravigliosa produzione letteraria; però non c’entra nulla con il vero Aldilà, che non possiamo sapere come sia».

Perché lo dice con tanta certezza?

«Perché sappiamo che è un luogo senza spazio né tempo. La Chiesa ha sempre parlato dell’esistenza dell’oltretomba e l’ha suddiviso in Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ma non ha mai cercato di spiegare come siano. Bisogna lasciare il mistero al mistero».

Ci sarà almeno un criterio di giudizio?

«In quanto cristiani dobbiamo ribadire che ciascuno sarà remunerato a seconda di quello che ha fatto nella vita. Ci potrà essere gioia o castigo eterno, ma non possiamo andare oltre. La Chiesa ha dichiarato che alcuni uomini e donne sono degni di essere nominati santi e beati e quindi hanno meritato il Paradiso. Ma non ha mai parlato dei dannati, non si è mai espressa su qualcuno che andrà sicuramente all’Inferno».

E chi non è santo né beato?

In Dio sono riunite sia la misericordia sia la giustizia. Quindi un po’ di Purgatorio, un po’ di sofferenza per espiare quello che di cattivo abbiamo compiuto, credo che lo faremo tutti».

Ritroveremo i nostri cari?

«Penso di sì. Se andremo in Paradiso, il Vangelo dice che presso Dio la nostra felicita sarà piena. E quindi riabbracceremo chi abbiamo amato. Non è un dogma; ma qualcuno ritiene che, se siamo stati affezionati a un animale, ritroveremo anche lui».

Lei chi sogna di incontrare?

«I miei genitori, anche se siamo stati spesso in dissenso».

Dove finirà l’anima?

«Fa parte dei misteri che non conosciamo. Chiunque dicesse di poter descriver l’Aldilà non è da prendere sul serio».

Crede davvero nella resurrezione?

«Sì. Mi sono messo alla prova, nei tanti libri che ho scritto ho cercato la verità del Vangelo. E, da razionale quale mi considero, sono riuscito a dimostrare che la ragione bene intesa può portare alla fede. Fede e ragione possono convivere. L’ho fatto con lo zelo e l’interesse di chi si è convertito».

Ci racconta meglio la sua conversione?

«I miei genitori erano dei mangiapreti, ritenevano i credenti dei bigotti. Non ero ateo – che è qualcuno sempre a rischio conversione -, ma peggio: agnostico. Non avevo alcun interesse per la religione».

E dopo cosa è accaduto?

«All’improvviso mi è apparso un buco bianco. È difficile da descrivere. Mi è cambiata la prospettiva: sono rimasto razionale, ma ho accettato le verità del Vangelo».

Ha iniziato a pregare? «No, non sapevo nemmeno come si pregasse. Ho cominciato ad andare a Messa. Ma di nascosto, perché mi vergognavo e temevo la reazione dei miei. Trovai una chiesa lontana da casa per evitare di farmi vedere. Purtroppo un giorno un amico di mio papà mi incontrò e lo riferì a mia madre».

Cosa fece?

«Si sgomentò. Chiamò il medico di famiglia perché credeva che avessi un forte esaurimento nervoso».

E poi?

«All’inizio pensavo che la conversione non mi sarebbe convenuta».

Cioè?

«Avevo una vera e propria allergia per il clero».

Solo questo?

«No, abbracciando la morale cattolica avrei dovuto rinunciare alle donne. E per me, che ero un donnaiolo, sarebbe stato un problema. Accettare la castità fino al matrimonio mi risultava difficile».

Quindi come ha fatto?

«Andai ad Assisi a studiare teologia e incontrai Rosanna, mia moglie. Ci siamo sposati dopo quasi trent’anni di castità, perché non riuscivo a ottenere l’annullamento alla Sacra Rota del mio primo matrimonio. Anche Rosanna era una convertita. Ha raccontato la nostra storia in un libro, Una fedein due – Edizioni Ares».

Ha paura di morire?

«Non temo la morte, temo il giudizio di Dio. Il Papa dice che tutti andremo in Paradiso. Ma non è possibile pensare che, quando Stalin e don Bosco si sono presentati a tempo debito davanti al giudizio di Cristo siano stati trattati nello stesso modo».

E lei?

«Sono credente fino in fondo, ma a volte ho deragliato e deraglio anche io. Non sono un santo, e quindi sono preoccupato di come posso essere valutato».

Allora meglio non pensarci…

«Non pensarci è sbagliato. L’unico modo per vivere nella serenità è far posto al pensiero della morte. Bisogna rompere un tabù, e sapere che c’è un modo per affrontarla senza paura».

Quale sarebbe?

«Le fraternità della buona morte. Andrebbero ripristinate. Nel Medioevo erano frequentate da tutti, anche dai giovani. Avevano come missione di carità l’assistenza ai malati. E come motto: “Per rendere felice la vita bisogna far posto alla morte”. Così l’angoscia scomparirebbe».

La pandemia ci ha messo di fronte alla morte.

«Molte persone insospettabili vogliono parlarne in termini religiosi. Questo è sempre avvenuto durante le occasioni di pericolo. Un cappellano militare francese della prima guerra mondiale, che viveva tra i soldati, disse: “Nelle trincee non ci sono atei”. L’80 per cento di quei ragazzi non sarebbe sopravvissuto. Avvicinandosi all’Aldilà sapevano che avrebbero fatto i conti con Dio».

Cosa pensa delle esperienze pre-morte?

«Ho conosciuto persone che le hanno avute: sono arrivate fino a una porta, a una soglia, sono riusciti a vedere qualcosa, ma poi sono tornate indietro. Non si sa altro».

È stato lei a accompagnare Leonardo Mondadori nella conversione?

«L’ha fatto grazie a eccellenti membri dell’Opus Dei che gli consigliarono, per cercare di capire cosa sia il cristianesimo, di leggere alcuni libri, tra cui i miei. Volle conoscermi e diventammo amici. Parlavamo a lungo di cose religiose. Così l’ho rafforzato nella fede. Quando improvvisamente morì – anche se i medici americani a cui si era affidato gli avevano dato la certezza di guarirlo – mi ricordo che dissi: “Leonardo è andato in Paradiso”».

E come faceva a saperlo?

«Perché dopo la conversione si è comportato da persona meritevole, da vero cristiano. Prima conduceva una vita, diciamo, un po’ più spensierata. Era un donnaiolo anche lui».

Ha scritto un libro sull’Opus Dei. Ne fa parte?

«No. Sono un cattolico libero, mi riconosco nella Chiesa. Avendo una tendenza solitaria non ho mai sentito la vocazione ad entrare in una comunità».

Che rapporto ha avuto con gli ultimi tre Papi?

«Con Wojtyla e Ratzinger ho scritto due libri e a loro mi legava una profonda amicizia. Non saprei dire molto su Francesco perché non l’ho mai incontrato. È un Papa singolare e amministra il Papato, che è cambiato, in modo differente. Voglio andare a vedere come va a finire. Ma non possiamo giudicare la storia finché la viviamo».

Ha paura del Covid?

«Mi fanno paura e mi fanno soffrire le code di persone che chiedono un pasto caldo. Questa situazione sarà sempre peggio,anche perché molti di quegli uomini e di quelle donne sono borghesi. La povertà dilaga».

Ma lei è cattolico, dovrebbe avere speranza…

«Non mi aspetto nulla da nessuno, se non da Cristo. La speranza è prendere sul serio le promesse di Gesù. Se ascoltiamo le sue parole ci aprirà le porte del Paradiso, e saremo felici per tutta l’eternità». [/av_textblock]

Il Vangelo è storicamente attendibile

Vittorio Messori è uno dei più grandi giornalisti e scrittori cattolici italiani del nostro tempo e il suo lavoro è stato fonte di ispirazione e modello per il mio.

L’opera più famosa di Messori fu The Ratzinger Report (1985), il distillato di diversi giorni di interviste in un monastero dell’Italia settentrionale con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che Messori pubblicò in italiano nel 1984, anno in cui sono arrivato in Italia, come “Rapporto sulla Fede”. Un titolo modesto per un libro di successo. (Padre Joseph Fessio, S.J., di Ignatius Press, una volta mi ha detto che il successo di quel libro ha fornito forse la metà di tutti i ricavi della sua stampa in quegli anni centrali degli anni ’80).

Venendo a 20 anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II (1962-65), il libro dell’intervista con Ratzinger chiarì che c’era ancora “molto da fare” affinché la Chiesa potesse comprendere appieno ciò che il Concilio aveva significato, e che c’erano profondi pericoli per la fede in agguato in certe tendenze moderne e postconciliari. Soprattutto, “la dittatura del relativismo”, che insisteva sul fatto che la verità non era conoscibile, o se conoscibile, non universalmente affidabile o applicabile. Perché parliamo di cose come “pericoli profondi”? Perché sono pericoli per la persona, per l’anima individuale, che causano preoccupazione, indecisione, confusione e persino disperazione.

La “dittatura del relativismo” – che essenzialmente diceva che non esiste una verità universale che tutti gli uomini dovrebbero conoscere e da cui essere incoraggiati e confortati – ha lasciato l’uomo moderno privato, senza una bussola affidabile in questo mondo.

L’intero lavoro di Ratzinger fino ad oggi – e continua ancora – può essere inteso come un lungo sforzo per superare questa “mancanza”, questa perdita della bussola fornita dalla verità incontestabile. (Vedi la grande enciclica di Papa Giovanni Paolo II che Ratzinger ha contribuito a comporre, Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, per un approfondimento importante di questa questione)

Così Messori, durante e dopo la sua conversione religiosa, trascorse molti anni a scrivere altri libri, tutti incentrati sull’esporre le prove della verità dei Vangeli raccogliendo le prove della storicità della vita, dell’insegnamento, della sofferenza, della morte e della risurrezione di Gesù di Nazareth.

Così, quando ho visto questa intervista con Messori due giorni fa, sono rimasto profondamente commosso.

Messori ci racconta qui il suo cammino verso la fede.

Mi rendo conto bene che stiamo attraversando un momento difficile, un periodo di controversie nella Chiesa, confusione, serrate, restrizioni di viaggio, incertezza economica – e questi argomenti forniranno materiale per lettere future.

Ma questa Lettera, che contiene la storia di Vittorio Messori, attraverso l’ottimo lavoro di Solène Tadié, del National Catholic Register, è forse più importante di tutte.

Al centro della storia c’è il desiderio del cuore umano per la verità e il dolore che questo desiderio provoca, fino a quando la verità non è ascoltata, compresa, ammirata, abbracciata, creduta, resa feconda nella vita.

Messori, nell’intervista qui sotto, descrive questa esperienza, che è il dramma dell’anima.

E dobbiamo ricordare che l’anima è la cosa più importante, quella scintilla di vita e di personalità dentro di noi che vive al livello della scelta, del bene e del male, del pentimento e della grazia, dell’amore.

Questa intervista racconta in modo meraviglioso quel drammatico viaggio, e per questo ho voluto condividerlo con voi, ringraziando di cuore Solène Tadié e il National Catholic Register.

Robert Moynihan – https://insidethevatican.com

di Solène Tadié, National Catholic Register

In un mondo in cui il materialismo ateo è predominante in innumerevoli paesi e culture, la Chiesa cattolica non può insegnare la verità di Cristo senza ricordare che fede e ragione sono compatibili e in qualche modo interdipendenti.

Questo approccio cattolico, attualizzato da Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et ratio (1998), postula che “la fede e la ragione sono come due ali su cui lo spirito umano si eleva alla contemplazione della verità”.

Mentre l’Occidente postmoderno continua a sprofondare nel relativismo e nel disordine morale, molti stimati intellettuali cattolici stanno facendo la loro parte per offrire questo tesoro al mondo.

Uno di loro è Vittorio Messori, giornalista e scrittore italiano che si è convertito al cattolicesimo in età adulta e da allora ha dedicato la sua lunga e fruttuosa carriera allo studio storico del Vangelo per dimostrarne l’autenticità.

Considerato uno degli autori cattolici più letti e tradotti in tutto il mondo e citato nel libro di Papa Benedetto XVI Gesù di Nazareth, Messori ha prodotto una serie di importanti opere apologetiche. Tra le sue opere più lette e acclamate ci sono una serie di indagini sulla storicità di Cristo e il mistero della sua passione, morte e risurrezione: Ipotesi su Gesù (1976), Patì sotto Ponzio Pilato (He Suffered Under Pontius Pilate, 1992), e Dicono che è risorto (They Say He Is Risen, 2000)) – tutti ripubblicati in Italia da Edizioni Ares.

È anche l’autore di The Ratzinger Report (Rapporto sulla Fede, 1985), un best-seller di interviste con l’allora cardinale Joseph Ratzinger che si concentra sullo stato della Chiesa all’indomani del Concilio Vaticano II.

Messori ci ha concesso una lunga intervista in occasione della ripubblicazione di Patì sotto Ponzio Pilato in Italia. Qui ci parla del suo personale cammino di fede e le ragioni per le quali ritiene più che mai necessario riaffermare la Buona Novella come parte centrale della vita cristiana riaffermando il valore storico dei quattro Vangeli.

Nel suo libro Patì Sotto Ponzio Pilato insiste sul fatto che il mistero pasquale, il mistero della passione e della morte di Gesù, è il nucleo primario dei Vangeli. Lei cita anche il cardinale Carlo Maria Martini, il quale ha ricordato che il comandamento “Amiamoci l’un l’altro” non assume il suo pieno significato senza il preambolo della morte di Cristo. Secondo lei, c’è una deviazione nella comprensione del messaggio cristiano nel mondo di oggi?

Vittorio Messori: Il cardinale Martini ha detto qualcosa proprio su questo. Il Vangelo è stato un po ‘moralizzato come semplici favole umane. Troppo spesso si tende a ridurlo alla pratica di buone azioni, come aiutare i nostri vicini, accogliere i rifugiati, costruire case per anziani, ecc. Diventa un Vangelo basato su buone intenzioni, riducendolo a una sorta di umanesimo. Ma dobbiamo ricordare che l’insegnamento principale del Vangelo non è la bontà; non si tratta di supportare tutti coloro che hanno bisogno intorno a noi, anche se, ovviamente, queste azioni sono necessarie. Ma quello che non dobbiamo mai dimenticare è che la parola “Vangelo”, che deriva dal greco euangélion, significa “Buona Novella”. Il primo scopo del Vangelo, da cui scaturiscono anche le buone azioni, è annunciare la Buona Novella che Gesù Cristo ha sconfitto la morte e ha aperto le porte del cielo.

Cristo non è venuto per insegnarci come fare buone azioni prima di ogni altra cosa. In realtà, le nostre buone azioni sono una conseguenza della Buona Novella. La priorità è aprire a noi stessi le porte del paradiso. Allo stesso modo, la crisi del sacerdozio oggi deriva dal fatto che molti sacerdoti hanno dimenticato che il loro primo dovere è quello di annunciare al loro gregge il Vangelo e la risurrezione di Cristo, che hanno dimostrato che era veramente il Figlio di Dio.

Lei parla infatti della “riduzione spiritualistica e moralistica” che spesso viene fatta della persona di Cristo, vedendolo come una sorta di “Socrate ebraico”. Come siamo arrivati ​​a una situazione del genere?

Messori: Per molti, il cattolicesimo è stato trasformato in una sorta di umanesimo. Ma non c’è bisogno che il Vangelo sia ridotto all’umanesimo. Molti atei si considerano umanisti. Al contrario, tuttavia, un cattolico compie buone azioni nell’ambito del Vangelo, anticipando la sua vita in cielo. Un cattolico è chiamato ad essere caritatevole, generoso, ad aiutare i poveri, ma è in nome di Cristo che lo fa, per andare in paradiso.

Questa situazione è, ovviamente, una conseguenza dell’Età dell’Illuminismo promossa dai pensatori francesi, inglesi e tedeschi nel XVIII secolo; ma questo lungo processo non ha risparmiato lo stesso mondo cattolico. Se si da uno sguardo a molti giornali cattolici oggigiorno, si può pensare che siano scritti da persone generose – ma molto laiche -, niente di più. Questo problema è diventato generale.

Pensa che la fede popolare possa essere riaccesa dimostrando la storicità della morte e risurrezione di Gesù?

Messori: Quando ho pubblicato il mio primo libro Ipotesi su Gesù (Le ipotesi di Gesù), immaginavo che potesse interessare le persone, ma non riuscivo a immaginare il cataclisma che ha provocato. Due milioni di copie sono state vendute solo in Italia.

Basandomi sulla mia esperienza, potrei dire che innumerevoli persone sono disposte a saperne di più su Cristo e sulla sua vita; sono ansiosi di approfondire la loro conoscenza su di lui. Molti sacerdoti oggi sono riluttanti a parlare di Gesù Cristo, perché pensano che la verità sulla sua esistenza e sul suo sacrificio non sia più accettabile per l’uomo comune.

Penso che abbiano torto. Le persone hanno solo bisogno di sentire la risposta a una domanda fondamentale: le affermazioni del Vangelo sono vere o no? Ho ricevuto circa 20.000 lettere dai lettori in reazione ai miei libri negli ultimi anni. Che fossero di consenso o meno, sono una prova del profondo interesse che Cristo suscita ancora nel cuore delle persone.

Quanto sono storicamente affidabili i racconti biblici della passione e della morte di Gesù nel loro insieme? È possibile, come affermano alcuni critici, che gli evangelisti abbiano interpretato erroneamente o addirittura manipolato alcuni fatti realmente accaduti?

Messori: Come ho detto nel sottotitolo del mio libro, ho fatto un’indagine storica. Sono soprattutto uno un appassionato di storia, anche se credente. Ho studiato in ogni dettaglio, parola per parola, tutto quello che dicono i quattro Vangeli sulla passione e morte di Cristo, avendo una buona conoscenza della storia ebraica e romana. Nessuno potrebbe sfidare la verità storica. Le possibilità di distruggere i fatti esposti nel mio libro sono pari a zero perché tutto ciò che ho scritto per provare la verità della passione e morte di Cristo fa parte di una storia che possiamo dimostrare totalmente.

Riguardo poi alla possibile interpretazione errata da parte degli evangelisti, direi che molte versioni circolavano negli anni successivi alla risurrezione di Cristo – almeno 20 – e la Chiesa ne ha selezionate solo quattro perché erano le più affidabili. Gli autori autentici del Vangelo scrivevano nella foga del momento – subito dopo la morte e risurrezione di Cristo – quindi abbiamo testimonianze che derivano direttamente da chi ha vissuto questi eventi.

Tra le verità dimenticate sui Vangeli, lei evoca anche la questione della lingua originale in cui furono scritti – poiché a quel tempo in Terra Santa si parlavano tre lingue: greco, ebraico e aramaico. Cosa hai trovato?

Messori: I quattro Vangeli sono emersi per la prima volta in quella che potremmo chiamare la lingua inglese di quel tempo, cioè il greco, che allora era la lingua più diffusa nel mondo civilizzato. Ma è anche probabile che due di essi siano stati scritti in aramaico. L’ebraico era la lingua della liturgia, mentre l’aramaico era la lingua popolare. Questo studio storico è importante. Ad esempio, sappiamo che il Vangelo di Matteo, scritto da un discepolo ebreo di Cristo, fu composto in aramaico. È importante cercare di capire le parole aramaiche originali che sono state tradotte in greco e avere una conoscenza più precisa dell’origine della Scrittura, ma la lingua originale non cambia la verità degli episodi del Vangelo.

È davvero possibile condurre una ricerca oggettiva sui Vangeli da credente?

Messori: La mia conversione è avvenuta mentre leggevo il Vangelo. Poi ho iniziato quella che sarebbe diventata una lunga indagine sulla sua storicità. Ebbene, se avessi scoperto che qualcosa non combaciava con la realtà storica, avrei semplicemente abbandonato la mia crescente fede cattolica. Non avrebbe danneggiato la mia carriera. Anzi! Sarebbe stato tutto più facile. Non sono un prete; Sono uno studioso e un giornalista e non ho alcun interesse a promuovere una fede che si basa su falsi insegnamenti.

E ora, più vado avanti nella mia vita, più sono convinto di non aver sbagliato e che il Vangelo è davvero un mistero che deve essere esplorato e abbracciato.

Qual è stato l’impatto della sua ricerca e dei suoi scritti sulla sua vita personale?

Messori: Non sono mai stato in scuole o seminari cattolici. Sono stato chiamato dal Signore quando meno me lo aspettavo. E’ stato tutto molto immediato e tempestivo, ma molto misterioso. Non avrei mai immaginato che un giorno sarei diventato cattolico. La mia famiglia, in particolare i miei genitori, non erano cattolici, erano addirittura anticlericali. All’inizio andavo a messa di nascosto ei miei genitori si rattristarono quando lo scoprirono. Mia madre pensava persino che stessi avendo un esaurimento nervoso e chiese a un medico di vedermi.

All’università stavo per diventare docente in prova. Ma la mia conversione ha avuto un impatto negativo sulla mia carriera accademica. Quando i miei professori hanno scoperto che ero diventato cattolico, non erano più disposti a fare di un uomo come me il loro successore.

A scuola e poi all’università, non abbiamo mai parlato di religione, e quando lo abbiamo fatto si riferiva a un fenomeno ormai superato.

Quindi ero agnostico; ma poi, un giorno, ho avuto una conversione, prima di tutto intellettuale, comprendendo l’autenticità del Vangelo. Mi sono appassionato alla storia del Vangelo, ed è così che è iniziato tutto.

In 40 anni di lavoro, ho pubblicato 24 libri, tutti relativi all’apologetica. I tentativi dei miei libri sono di mostrare all’uomo moderno che è ancora possibile credere nel Vangelo. In tutti questi anni, ho cercato di dimostrare qualcosa di cui avevo dubitato nella prima parte della mia vita: cioè il fatto che il Vangelo è storicamente attendibile, che tutto è realmente accaduto. Tutta la verità del Vangelo si riassume in un solo evento, cioè la passione, morte e risurrezione di Cristo.

I miei tre libri in fase di ripubblicazione, Ipotesi su Gesù, Patì sotto Ponzio Pilato e Dicono che è risorto, offrono uno studio e un’indagine approfonditi su questo evento che ha cambiato il corso della storia. Sono i pilastri che sostengono l’intera struttura del mio pensiero.

La cosa divertente è che, in tutti questi anni, il mio lavoro è stato criticato solo per le idee morali e filosofiche che trasmetteva, ma mai sui fatti e sulla verità delle mie scoperte. Ma ho sempre parlato come giornalista e ho studiato costantemente per fornire ai miei lettori le informazioni più credibili. Per questo motivo ho sempre cercato di produrre opere autorevoli.

Lei conosce personalmente Papa Benedetto XVI, perché con lui ha scritto un libro-intervista quando era ancora il cardinale Ratzinger. E nel suo libro Gesù di Nazareth, ha menzionato il tuo lavoro come un riferimento importante su questo argomento. Che ricordi ha dei suoi incontri?

Messori: Ero molto amico di Joseph Ratzinger quando era cardinale. Il libro che abbiamo scritto insieme non è passato inosservato, anzi, e ha avuto un’ampia copertura in tutto il mondo, poiché era la prima volta che il prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede si confidava con un giornalista. Andavamo a pranzo insieme ogni volta che andavo a trovarlo a Roma. Ci stuzzicavamo sempre a vicenda sulla particolarità del nostro rapporto, poiché a quel tempo non era comune che religiosi e giornalisti fossero associati così da vicino.

È la persona più gentile e comprensiva che abbia mai incontrato. Il fatto che fosse presentato come il “grande inquisitore del Sant’Uffizio” – proprio come se impedisse alla Chiesa di evolversi – mi ha sempre fatto sorridere. In realtà Ratzinger era – ed è ancora – soprattutto uno studioso, un professore. Era molto felice quando insegnava all’università tedesca.

Diceva sempre che non si sentiva in grado di vegliare sul lavoro dei suoi colleghi cattolici e di chiamarli all’ordine. Ha chiesto tre volte a Giovanni Paolo II di ritirarsi dal suo incarico di prefetto, ma quest’ultimo ha rifiutato ogni volta. Diceva che non era il suo lavoro, che era un semplice professore. Sono sempre stato colpito dalla sua umiltà. Lo vedo come un ottimo candidato per il paradiso.

In lingua originale, qui: https://www.ncregister.com/interview/prominent-italian-catholic-journalist-the-gospel-is-historically-reliable