Intervista su Libero del 20/12/2020 di Alessia Ardesi
«Sono cresciuto nel tempio del laicismo torinese, alla scuola di Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone. A loro la religione non interessava, la ritenevano un problema senza soluzione. Erano agnostici, come me». Poi, nell’estate del 1963, mentre stava consultando un libro di storia per la tesi di laurea, Vittorio Messori si imbatté in una citazione evangelica. Non avendo mai letto il Vangelo decise di verificarla su una Bibbia che era stata regalata ai suoi genitori che, da buoni emiliani, erano anticlericali. «Iniziando a sfogliarla sono caduto in una sorta di buco bianco, al contempo doloroso e gioioso. E sono finito in un’altra dimensione, con una nuova prospettiva di fede. La sensazione della caduta, in due o tre mesi,è svanita. Ma rimangono le cose che ho imparato durante questa caduta. Non sono un visionario. Però quell’evento cambiò la mia vita». Vittorio Messori, 80 anni il prossimo aprile, dopo la morte di Umberto Eco è lo scrittore italiano che ha venduto più libri nel mondo. I suoi long-seller, da Ipotesi su Gesù a Patì sotto Ponzio Pilato?, hanno esplorato i temi della fede, della morte, della resurrezione, dell’Aldilà.
Messori, la vita eterna è solo un’ipotesi? O possiamo crederci?
«Certo, l’Aldilà esiste, ma non come lo immagina Dante. La Divina Commedia va considerata una meravigliosa produzione letteraria; però non c’entra nulla con il vero Aldilà, che non possiamo sapere come sia».
Perché lo dice con tanta certezza?
«Perché sappiamo che è un luogo senza spazio né tempo. La Chiesa ha sempre parlato dell’esistenza dell’oltretomba e l’ha suddiviso in Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ma non ha mai cercato di spiegare come siano. Bisogna lasciare il mistero al mistero».
Ci sarà almeno un criterio di giudizio?
«In quanto cristiani dobbiamo ribadire che ciascuno sarà remunerato a seconda di quello che ha fatto nella vita. Ci potrà essere gioia o castigo eterno, ma non possiamo andare oltre. La Chiesa ha dichiarato che alcuni uomini e donne sono degni di essere nominati santi e beati e quindi hanno meritato il Paradiso. Ma non ha mai parlato dei dannati, non si è mai espressa su qualcuno che andrà sicuramente all’Inferno».
E chi non è santo né beato?
In Dio sono riunite sia la misericordia sia la giustizia. Quindi un po’ di Purgatorio, un po’ di sofferenza per espiare quello che di cattivo abbiamo compiuto, credo che lo faremo tutti».
Ritroveremo i nostri cari?
«Penso di sì. Se andremo in Paradiso, il Vangelo dice che presso Dio la nostra felicita sarà piena. E quindi riabbracceremo chi abbiamo amato. Non è un dogma; ma qualcuno ritiene che, se siamo stati affezionati a un animale, ritroveremo anche lui».
Lei chi sogna di incontrare?
«I miei genitori, anche se siamo stati spesso in dissenso».
Dove finirà l’anima?
«Fa parte dei misteri che non conosciamo. Chiunque dicesse di poter descriver l’Aldilà non è da prendere sul serio».
Crede davvero nella resurrezione?
«Sì. Mi sono messo alla prova, nei tanti libri che ho scritto ho cercato la verità del Vangelo. E, da razionale quale mi considero, sono riuscito a dimostrare che la ragione bene intesa può portare alla fede. Fede e ragione possono convivere. L’ho fatto con lo zelo e l’interesse di chi si è convertito».
Ci racconta meglio la sua conversione?
«I miei genitori erano dei mangiapreti, ritenevano i credenti dei bigotti. Non ero ateo – che è qualcuno sempre a rischio conversione -, ma peggio: agnostico. Non avevo alcun interesse per la religione».
E dopo cosa è accaduto?
«All’improvviso mi è apparso un buco bianco. È difficile da descrivere. Mi è cambiata la prospettiva: sono rimasto razionale, ma ho accettato le verità del Vangelo».
Ha iniziato a pregare? «No, non sapevo nemmeno come si pregasse. Ho cominciato ad andare a Messa. Ma di nascosto, perché mi vergognavo e temevo la reazione dei miei. Trovai una chiesa lontana da casa per evitare di farmi vedere. Purtroppo un giorno un amico di mio papà mi incontrò e lo riferì a mia madre».
Cosa fece?
«Si sgomentò. Chiamò il medico di famiglia perché credeva che avessi un forte esaurimento nervoso».
E poi?
«All’inizio pensavo che la conversione non mi sarebbe convenuta».
Cioè?
«Avevo una vera e propria allergia per il clero».
Solo questo?
«No, abbracciando la morale cattolica avrei dovuto rinunciare alle donne. E per me, che ero un donnaiolo, sarebbe stato un problema. Accettare la castità fino al matrimonio mi risultava difficile».
Quindi come ha fatto?
«Andai ad Assisi a studiare teologia e incontrai Rosanna, mia moglie. Ci siamo sposati dopo quasi trent’anni di castità, perché non riuscivo a ottenere l’annullamento alla Sacra Rota del mio primo matrimonio. Anche Rosanna era una convertita. Ha raccontato la nostra storia in un libro, Una fedein due – Edizioni Ares».
Ha paura di morire?
«Non temo la morte, temo il giudizio di Dio. Il Papa dice che tutti andremo in Paradiso. Ma non è possibile pensare che, quando Stalin e don Bosco si sono presentati a tempo debito davanti al giudizio di Cristo siano stati trattati nello stesso modo».
E lei?
«Sono credente fino in fondo, ma a volte ho deragliato e deraglio anche io. Non sono un santo, e quindi sono preoccupato di come posso essere valutato».
Allora meglio non pensarci…
«Non pensarci è sbagliato. L’unico modo per vivere nella serenità è far posto al pensiero della morte. Bisogna rompere un tabù, e sapere che c’è un modo per affrontarla senza paura».
Quale sarebbe?
«Le fraternità della buona morte. Andrebbero ripristinate. Nel Medioevo erano frequentate da tutti, anche dai giovani. Avevano come missione di carità l’assistenza ai malati. E come motto: “Per rendere felice la vita bisogna far posto alla morte”. Così l’angoscia scomparirebbe».
La pandemia ci ha messo di fronte alla morte.
«Molte persone insospettabili vogliono parlarne in termini religiosi. Questo è sempre avvenuto durante le occasioni di pericolo. Un cappellano militare francese della prima guerra mondiale, che viveva tra i soldati, disse: “Nelle trincee non ci sono atei”. L’80 per cento di quei ragazzi non sarebbe sopravvissuto. Avvicinandosi all’Aldilà sapevano che avrebbero fatto i conti con Dio».
Cosa pensa delle esperienze pre-morte?
«Ho conosciuto persone che le hanno avute: sono arrivate fino a una porta, a una soglia, sono riusciti a vedere qualcosa, ma poi sono tornate indietro. Non si sa altro».
È stato lei a accompagnare Leonardo Mondadori nella conversione?
«L’ha fatto grazie a eccellenti membri dell’Opus Dei che gli consigliarono, per cercare di capire cosa sia il cristianesimo, di leggere alcuni libri, tra cui i miei. Volle conoscermi e diventammo amici. Parlavamo a lungo di cose religiose. Così l’ho rafforzato nella fede. Quando improvvisamente morì – anche se i medici americani a cui si era affidato gli avevano dato la certezza di guarirlo – mi ricordo che dissi: “Leonardo è andato in Paradiso”».
E come faceva a saperlo?
«Perché dopo la conversione si è comportato da persona meritevole, da vero cristiano. Prima conduceva una vita, diciamo, un po’ più spensierata. Era un donnaiolo anche lui».
Ha scritto un libro sull’Opus Dei. Ne fa parte?
«No. Sono un cattolico libero, mi riconosco nella Chiesa. Avendo una tendenza solitaria non ho mai sentito la vocazione ad entrare in una comunità».
Che rapporto ha avuto con gli ultimi tre Papi?
«Con Wojtyla e Ratzinger ho scritto due libri e a loro mi legava una profonda amicizia. Non saprei dire molto su Francesco perché non l’ho mai incontrato. È un Papa singolare e amministra il Papato, che è cambiato, in modo differente. Voglio andare a vedere come va a finire. Ma non possiamo giudicare la storia finché la viviamo».
Ha paura del Covid?
«Mi fanno paura e mi fanno soffrire le code di persone che chiedono un pasto caldo. Questa situazione sarà sempre peggio,anche perché molti di quegli uomini e di quelle donne sono borghesi. La povertà dilaga».
Ma lei è cattolico, dovrebbe avere speranza…
«Non mi aspetto nulla da nessuno, se non da Cristo. La speranza è prendere sul serio le promesse di Gesù. Se ascoltiamo le sue parole ci aprirà le porte del Paradiso, e saremo felici per tutta l’eternità». [/av_textblock]