La Stampa :: 10 dicembre 2019 di Bruno Quaranta
Aspettando che il Figlio dell’Uomo ritorni sulla Terra, perché non riaprire il bestseller internazionale (un milione di copie) di Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù? Un’investigazione. Quindi a misura del giornalista che innanzitutto è l’autore (a cominciare dagli esordi, fra Stampa Sera e Tuttolibri). «I vangeli, il Nuovo testamento in generale, è percorso -ecco il richiamo che lo attrasse – da un’aria di continua sfida. Provoca il lettore con improvvisi rimandi alla cronaca, come per sollecitare il controllo e la verifica, quasi presagisse di essere tacciato di menzogna».
Uscito nel 1976 per la Sei, Ipotesi su Gesù ritorna ora per i tipi delle edizioni Ares, dall’officina salesiana torinese alla casa editrice vicina all’Opus Dei. Un cambio di campo?
«Ho scritto per la Mondadori un libro inchiesta sull’Opus Dei. Ma sono un “ semplice cattolico “, non legato a gruppi e a movimenti . L’Ares , comunque , non è un’emanazione dell’Obra, lo è solo il direttore, Cesare Cavalleri. Non potevo ripubblicare le Ipotesi con la Sei, fusasi nel frattempo con La Scuola di Brescia per pubblicare solo testi scolastici».
Le «nuove» Ipotesi non ripropongono la prefazione di Lucio Lombardo Radice. Perché?
«Il libro uscì nel 1976. Il Pci, per la prima volta, alle elezioni ottenne più voti della Dc. Tale il clima di allora, un titolo della Sei non sarebbe stato accolto in ambiente laico. Lombardo Radice, genero di Jemolo, sensibile alla questione cattolica, colla sua prefazione mi consentì, primo fra gli scrittori cattolici, di trovar posto anche nella libreria comunista di Botteghe Oscure. E per quel membro del Comitato Centrale del Pci fu l’occasione di riconfermarsi quale interlocutore gradito del mondo cattolico».
Come fu accolto Ipotesi su Gesù?
«Sul fronte cattolico, nessuna critica in particolare, la mia inchiesta era rigorosa. Ma neanche risuonarono le campane. Unica eccezione, una recensione positiva di don Gianfranco Ravasi, il futuro cardinale ma allora poco conosciuto docente di seminario. Sul fronte laico, significò l’incrinatura del rapporto con Alessandro Galante Garrone, con cui mi ero laureato in Scienze Politiche».
Che cosa successe?
«Presentando al meeting di Rimini una biografia del beato Faà di Bruno , ricordai che quel grande scienziato non ottenne mai una cattedra nell’Università di Torino solo perché cattolico. Di qui la mia battuta: alcuni di quei notabili risorgimentali avrebbero meritato un processo di Norimberga. Galante Garrone, su La Stampa, mi rinnegò, anche perché la tesi che avevo fatto con lui era proprio sul Risorgimento».
Si ricompose la frattura?
«Da parte sua, no. Ma io continuai a stimarlo . Da lui, come da Bobbio, avevo imparato il rigore e l’onesta nel lavoro storico».
Perché ripresentare Ipotesi su Gesù? Ne sono forse destinatari coloro che, nel mondo cattolico, mettono tra paren- tesi la sua divinità?
«Il protestantesimo, secondo cui la verità o non verità stori ca dei Vangeli non è decisiva per la fede, ha influenzato, e non poco, l’esegesi cattolica. La fede, per il cattolico, deve invece avere una base storica, la esige».
Che cosa la sconcerta nell’attuale papato?
«Preciso di aver scritto spesso elogi dei gesuiti . La loro chiave di lettura del mondo è l’et-et, sia questo, sia quello. Sono inclusivi. E per questo li ammiro».
E dunque?
«È il papato del gesuita Bergoglio, talvolta, a sconcertare. Il successore di Pietro deve innanzitutto tutelare il depositum fidei, Scritturae Tradizione: la Chiesa e il suo insegnamento appartengono solo al Cristo . Il pontefice non è che un custode».
E invece questo papa ?
«Per fare un esempio : ha cambiato motu proprio il catechismo in tema di pena di morte, dichiarandola inammissibile per i cristiani . Ora: si può considerare inopportuna quella pena (è il mio caso), ma non dimenticando che l’insegnamento cristiano non l’ha mai esclusa».
E ancora: la possibilità per i divorziati risposati di comunicarsi…
«La morale cattolica richiede eroismo. Non le si addicono le scorciatoie».
I migranti, il popolo dei barconi: fra i cavalli di battaglia di Salvini. Ruini invita a dialogare con il segretario della Lega. È d’accordo?
«Un cardinale può rifiutare di incontrare chiunque lo chieda per almeno ascoltare le sue ragioni?».
Due Papi, Ratzinger e Bergoglio. Come «legge» la loro compresenza?
«È un unicum. Un enigma. Papa emerito si è definito Benedetto XVI, disorientando: la qualifica è inedita per il diritto canonico. Ero convinto che si sarebbe ritirato in un monastero , e invece ha scelto di restare in Vaticano. Ma è uomo di fede, di preghiera, di riflessione , avrà di certo le sue ragioni religiose».
Nell’attuale situazione, avverte il richiamo dei lefebvriani?
«Don Bernard Fellay, quando era Superiore di quei dissidenti, mi volle conoscere. Mi propose di arruolarmi frai suoi. Io senza esitazioni, lo delusi: sto e starò sempre con la Chiesa, non con chi se ne è separato. Sto con i papi, i cardinali, i vescovi, i parroci anche quando mi sembrano discutibili certe loro azioni e dichiarazioni: mugugno, magari mi rattristo ma non dimentico che la Chiesa è il corpo stesso di quel Cristo che sempre, in duemila anni, ha sistemato al meglio cose ben peggiori. Succederà anche stavolta. Come diceva Eduardo De Filippo: “A’ da passà a nuttata“».