VITTORIO MESSORI

I due Papi della Chiesa

28 maggio 2014 :: Corriere della Sera, di Vittorio Messori

<<  Carissimi Fratelli, vi ho oggi  convocati  anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa . Dopo aver a lungo   esaminato la mia coscienza davanti a Dio , ben consapevole  della gravità dell’  atto, in  piena libertà , dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma , Successore di San Pietro….>> . Del tutto impreviste,  dette in latino , a voce bassa ,  quelle parole furono come una frustata che fece in pochi minuti il giro del globo. E questo anche in Paesi non a maggioranza cattolica e nemmeno cristiana , ma dove si comprese subito la novità storica dell’evento. Non si dimentichi che -stando anche solo  alle parole recenti del protestante Obama, dell’ortodosso Putin ,dell’anglicano Cameron –  il Pontefice romano sarebbe oggi  la più alta autorità morale del pianeta .

Per tornare a quell’ 11 febbraio , ricorrenza di N.S. di Lourdes,  chi conosce il mondo cattolico   sa che ancora ci si interroga e ci si confronta , anche duramente.   Gli schieramenti sembrano essere due : da un lato i custodi della Tradizione, per i quali la “ rinuncia” ( non dimissione, il papa non avendo alcuno in terra cui presentarla ) malgrado sia prevista dal Codice  Canonico,  avrebbe  costituito una sorta di defezione  , quasi che   Benedetto XVI considerasse  il suo ufficio come  quello di presidente di una multinazionale o   di uno Stato. E, dunque , fosse necessario  ritirarsi  a vita privata  al declinare dell’età , in nome di considerazioni efficentiste,     respinte, invece , dalla lunga agonia in pubblico scelta da Giovanni Paolo II  . Dall’altro lato, ecco    lo schieramento di coloro che si rallegrano: la rinuncia  sarebbe la fine della sacralità del pontefice , dell’aura mistica attorno alla sua persona e , quindi ,  l’adeguamento del vescovo di Roma alla norma comune  a tutti i vescovi, voluta da Paolo VI . Rinunciare, cioè,  al governo di una diocesi e ad incarichi ufficiali nella Curia romana     al raggiungimento dei 75 anni.

Sullo sfondo , comunque , restavano  domande che sembravano non  avere risposta adeguata: perché non scegliere di chiamarsi “ vescovo emerito di Roma “ (come suggeriva   la stessa Civiltà Cattolica) bensì “ papa emerito “? Perché non rinunciare all’abito bianco , pur avendo tolto la  mantellina e l’anulus piscatorius al dito, segno della autorità di governo ?    Perché non ritirarsi  nel silenzio  di un monastero di clausura , invece di  restare nei confini della  Città del Vaticano, accanto a San Pietro,  confrontandosi spesso  – seppur privatamente – con il successore,  ricevendo ospiti e  partecipando a cerimonie e a canonizzazioni come quella recente di Roncalli e di Wojtyla ? Confesso che io stesso mi ero posto  simili interrogativi,  restando  perplesso .

Una risposta a quelle  domande viene ora da uno studio di Stefano Violi, stimato  docente di diritto canonico  presso le  facoltà di teologia  di Bologna e di   Lugano. Vale la pena di esaminare quelle fitte pagine,  poiché con   la decisione di Benedetto XVI si sono aperte  per la Chiesa scenari inediti  e in qualche modo sconcertanti.  E’ prevedibile che le conclusioni del prof. Violi susciteranno dibattito tra i colleghi, visto che questo canonista ipotizza che l’atto di Ratzinger innovi profondamente  e che   i  papi viventi siano  ora davvero due.  Anche se uno di  loro  volontariamente  “dimezzato”,  per dirla in maniera  un po’ semplicista ma,  ci pare ,  non errata. Per capire, vanno sgombrati innanzitutto  tutto i deliri di  dietrologi e complottisti,  prendendo sul serio Benedetto XVI che ha parlato del  peso crescente  della vecchiaia come motivo primo e unico della sua  decisione: << In questi  ultimi mesi ho sentito che le mie forze erano diminuite….. Le mie risorse , fisiche e intellettuali,  per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero…. >>.

Ma,  studiando in modo approfondito il controllatissimo latino con il quale Joseph Ratzinger ha accompagnato  la sua decisione, l’occhio del canonista  scopre che essa va ben al di là dei pochi antecedenti  storici e anche al di là della disciplina prevista  per la “ rinuncia “  dal Codice attuale  della Chiesa. Si scopre, cioè, che Benedetto XVI non ha   inteso rinunciare al munus petrinus , all’ufficio, al compito,  cioè,  che il Cristo stesso attribuì al capo degli  apostoli e che è stato tramandato ai suoi successori . Il papa  ha  inteso  rinunciare  solo al ministerium , cioè all’esercizio , all’amministrazione concreta  di quell’ufficio. Nella formula impiegata da Benedetto, si distingue innanzitutto tra il munus , l’ufficio papale, e la executio, cioè l’esercizio attivodell’ ufficio stesso.  Ma l’  executio è duplice : c’è l’aspetto di governo che si esercita agendo et loquendo , lavorando ed insegnando . Ma c’è anche l’aspetto spirituale, non meno importante, che si esercita orando et patendo, pregando e soffrendo.  E’ ciò che starebbe  dietro le parole di Benedetto XVI : <<Non ritorno alla vita privata….Non porto più la potestà di guida   nella   Chiesa ma, per il bene della Chiesa stessa  e   nel servizio della preghiera, resto nel recinto di San Pietro  >>. Dove “ recinto “ non andrebbe inteso solo nel  senso di  un luogo geografico dove vivere   ma anche  di un “ luogo “ teologico.

Ecco , dunque, il  perché della scelta, inattesa e inedita , di farsi chiamare “papa emerito“.  Un  vescovo resta vescovo  quando  l’età o la malattia gli impongono di lasciare il governo della sua diocesi e si ritira a pregare per essa. Tanto più  il vescovo di Roma  , al quale il munus , l’ufficio, il compito  di Pietro,  è stato conferito una volta per tutte , per l’eternità intera , dallo Spirito Santo,  servendosi dei cardinali in conclave solo come strumenti.  Ecco anche  il perché della  decisione di non abbandonare l’abito bianco, pur privato dei segni del governo attivo. Ecco il perché della volontà di stare accanto alle reliquie del Capo degli apostoli, venerate nella grande basilica. Per dirla con il professor Violi : << Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando  inerenti il suo ufficio ,  senza però abbandonare il servizio alla Chiesa: questo continua , mediante l’esercizio della dimensione spirituale del munus pontificale   affidatogli . A questo, non ha inteso rinunciare. Ha rinunciato  non al compito, che non  è revocabile,  bensì alla sua esecuzione concreta >>.  Forse anche per questo Francesco non sembra amare il definirsi” papa “, consapevole com’è di condividere  il munus pontificale , almeno nella dimensione  spirituale , con Benedetto ?    Ciò che invece ha ereditato interamente  da Benedetto XVI è l’ufficio di vescovo di Roma .  E’ per ciò  che questa , come si sa , è la sua autodefinizione  preferita , sin dalle prima parole di saluto al popolo dopo l’elezione   ? Tanto che molti, sorpresi, si chiesero perchè non avesse  mai usato la parola ” papa ” o ” pontefice ”  in un’occasione tanto solenne, davanti alle tv del mondo intero,  e avesse solo parlato del suo ruolo di successore  all’episcopato romano.

Per la prima volta , dunque , la Chiesa avrebbe davvero due papi, il regnante e l’emerito? Pare proprio  che questa sia stata la volontà di Joseph Ratzinger stesso,  con  quella rinuncia al solo  servizio attivo che è  stato  << un  atto solenne del suo magistero>> , per dirla con il canonista .  Se  davvero è cosi, tanto meglio per la Chiesa:  è un dono che ci sia, uno accanto all’altro anche fisicamente ,  chi dirige e insegna e  chi prega e soffre,  per tutti,  ma anzitutto per sorreggere  il confratello nell’ufficio pontificale  quotidiano .

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