16 giugno 1993 :: Corriere della Sera, di Vittorio Messori
Per un cattolico non era chiaro per chi votare, in queste elezioni. Era invece chiarissimo per chi NON votare: per Dalla Chiesa e la rissosa ammucchiata che attorno al suo nome ha trovato un provvisorio consenso (destinato a trasformarsi subito nella guerra per bande, nella paralisi e nella conseguente crisi). La necessità di contrastare la old band dell’aspirante “sindaco coi baffi” va ribadita con chiarezza: in effetti, non mancano cattolici convinti che gli utopismi e i velleitarismi della grottesca “lettera alla città” di Dalla Chiesa e le promesse messianiche del suo “programma”, siano “ispirati a valori evangelici”. In realtà, non è vangelo, ma anti-vangelo il proclama di chi termina coll’esclamazione: “Votatemi e vi renderò felici!”. Il progetto di rendere gli uomini contenti e buoni (la Milano dove ci si abbraccerà con i vicini di casa) per mezzo della politica, delle riforme, di “latterie e osterie” di Stato, questo progetto è quello stesso dell’Anticristo. E la prospettiva redentrice, salvatrice della politica che ha dato così eccellente prova nell’Urss e satelliti. Poiché a Cesare dà solo “ciò che è di Cesare”, ad un amministratore il cristiano non chiede che di fare il suo pragmatico mestiere, lasciando ad altri di occuparsi di salvezza e di “felicità”. Il cristiano sa che le utopie “salvifiche” degli uomini non creano il paradiso ma, sempre, l’inferno, come la storia del Novecento dimostra. I comunisti non pentiti che rappresentano la maggioranza dietro il Nando vorrebbero ritentare sulla pelle di Milano ciò che è così ben riuscito in Albania, in Cambogia, in Angola. Entusiasmi “cattolici” -al contrario- per Formentini? No, di certo: piuttosto, una di quelle occasioni in cui il credente è posto di fronte alla scelta del male minore. Il quale, stavolta, non porta i baffi; e nemmeno può stare nell’astensione dal voto.
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