2 aprile 1993 :: Corriere della Sera, di Michele Brambilla
Accusata di eccessiva segretezza, l’Opus Dei reagisce mettendo a disposizione di un giornalista “esterno”, cioè non membro dell’opera, tutti i suoi archivi. Ne nascerà una sorta di libro bianco, di “rapporto sull’Opus Dei”, destinato a essere il primo volume in cui si raccontano storia e protagonisti della spiritualità fondata dal beato Josè Maria Escriva de Balaguer. Il “prescelto” è lo scrittore Vittorio Messori, autore di molti best seller religiosi, il più famoso dei quali è “Ipotesi su Gesù”. L’editore, rigorosamente laico: Mondadori. Titolo provvisorio del libro: Inchiesta sull’Opus Dei (ma Messori sta pensando a un più accattivante Il segreto dell’opera). Data di uscita prevista: inizio ’94. C’è già la corsa, all’estero, per acquistare i diritti per la traduzione. Vittorio Messori è stato alla sede mondiale dell’opera, a Roma, e poi all’università di Navarra, in Spagna, che la CEE ha recentemente classificato “miglior campus europeo”. Quindi, ha incontrato il prelato Alvaro Del Portillo, successore di Escrivà. Ha aperto armadi, rovesciato schedari, fotocopiato carte che scottano? Sorride l’ingegner Pippo Corigliano, portavoce dell’Opus Dei: “Messori non ha avuto accesso ad alcun archivio segreto per il semplice fatto che non abbiamo archivi segreti. L’ho accompagnato a Roma, in Spagna, ma anche a Napoli, dove l’ho fatto incontrare con gente dell’opera che svolge professioni anche umili: tassisti, vigili urbani… ho cercato insomma di fargli capire chi siamo. E gli ho dato tutti, dico tutti, i documenti che lui ci ha chiesto. Finiamola, una volta per tutte, con questa storia della segretezza”. E Messori, dopo mesi di lavoro da cronista, è d’accordo: “L’accusa di società segreta fa molto comodo alle vere società segrete, cioè alla massoneria. Anche recentemente il Gran Maestro Di Bernardo, dopo che molti “fratelli” erano finiti nel mirino della magistratura, ha detto: “Andate a guardare l’Opus Dei”. Un comodo alibi. In realtà, la differenza fra massoni e membri dell’opera è evidente: se andate alla sede del Grande Oriente e chiedete di vedere gli elenchi degli iscritti, venite accompagnati alla porta. Viceversa, se volete sapere se una persona fa parte dell’Opus Dei, basta una telefonata all’ufficio stampa di Roma e ti rispondono: sì, è dei nostri; no, non lo conosciamo”. L’Opus Dei, dice Messori, è da tempo oggetto di una campagna di diffamazione su scala mondiale: “Lo si è visto anche l’anno scorso, in occasione della beatificazione di monsignor Escrivà. Da più parti, e purtroppo anche da certi settori del mondo cattolico, sono state fatte pressioni sul Vaticano per fermare la causa di beatificazione. Il Times, che di solito tratta dall’alto in basso le questioni cattoliche, che definisce “cose da irlandesi e da portoricani”, ha portato in prima pagina l’attacco all’opera”. Ma come mai anche all’interno della Chiesa ci sono voci di dissenso? “Sono i settori gauchistes, che hanno inteso il Concilio come una sorta di autoliquidazione della Chiesa, e non sopportano la solidità dottrinale dell’Opus Dei”. E le accuse di essere un cristianesimo per ricchi? Messori ribatte anche su questo punto: “E’ talmente una cosa elitaria che l’anno scorso, il giorno della beatificazione, per la prima volta nella storia piazza San Pietro non è stata sufficiente a contenere la folla di fedeli. In Occidente e negli Usa si dice, abusivamente, che dell’opera faccia parte la classe dirigente. Ma in Spagna, dov’è nata, e in America latina, l’Opus Dei è una realtà estremamente popolare. Migliaia di campesinos fanno parte della mitica “Obra”. Della quale chiunque può far parte: questo è un dato di fatto incontestabile. L’aggressione di certi settori populisti del cattolicesimo nasce anche dal programma pastorale di Escrivà, che dice: “Di cento anime, me ne interessano cento”. Non ci sono quindi classismi, né di destra né di sinistra”. E un fatto, però, che molti membri dell’Opus Dei occupano posti chiave. “Ma questo – risponde Messori – è perchè Escrivà, applicando un principio evangelico, ha insegnato che la santità non è un affare per soli preti: la può conquistare chiunque, anche senza lasciare il proprio lavoro, quale esso sia. E così i membri dell’opera, prendendo estremamente sul serio il proprio lavoro, che considerano un mezzo di santificazione, finiscono per primeggiare anche nella loro professione. All’Opus dicono: fateci un solo caso al mondo, di un nostro membro, arrivato ai vertici grazie ad aiuti, senza meriti. La spiritualità della santificazione della vita ordinaria crea persone tese a fare sempre tutto nel migliore dei modi. L’odio per l’Opus Dei nasce anche da questo”. E a quali conclusioni è arrivato il cronista Messori? “A credere che il segreto dell’opera è di non avere segreti. Si dice che sia poco visibile: ma questo per il semplice fatto che, a parte l’università e la clinica di Pamplona, dove trovano posto re e contadini, l’Opus Dei non ha niente di “suo”: né case editrici, né giornali, né banche. Solo centri di formazione. Perché non è un movimento o un’associazione. Secondo una bellissima definizione, è un benzinaio dove si fa il pieno spirituale. Poi, con quel pieno, ognuno va dove vuole. Cercando di fare ogni cosa, dalla più grande alla più piccola, con assoluta fedeltà al Vangelo e al magistero della Chiesa”.
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