25 marzo 1996 :: Corriere della Sera, di Indro Montanelli
Da “La stanza di Montanelli”
Caro Montanelli,
Il 25 febbraio lei ha dedicato la “stanza” ad Adolf Galland e a Guernica. Mi ha fatto piacere quello che ha scritto di Galland, ma vorrei che lei tornasse su Guernica. Le allego la fotocopia di alcune pagine dedicate al fatto di Guernica tratto dal libro di Vittorio Messori, edizioni San Paolo, 1995, da pagina 192 a pagina 196. Stimo lei, stimo Vittorio Messori e cerco, soprattutto, la verità. Non mi piacciono i miti. Galland poteva essere un mito e non ha voluto esserlo. E stato un grande. Su Guernica è stato creato un mito, sembra totalmente fasullo. Lei può contribuire a riportare le cose alla loro giusta realtà.
Sergio Martinelli, Bassano del Grappa
Caro Martinelli, Lo ha già fatto Vittorio Messori, di cui non mi resta che riportare il brano che ha tutta l’aria di essere veritiero: «Da buon spagnolo, Pablo Ruiz Blasco y Picasso amava le corride. Fu, dunque, sconvolto dalla tragica morte di un suo beniamino, il famoso torero Joselito. Per celebrarne la memoria, mise in cantiere un’enorme tela di 8 metri per 3 e mezzo, che gremì di figure tragicamente atteggiate, a colori luttuosi. Finita che l’ebbe, la chiamò En muerte del torero Joselito. Correva però il 1937, in Spagna infuriava la guerra civile e il governo anarco-social-comunista si rivolse a Picasso per avere da lui un quadro per il padiglione repubblicano all’Esposizione Universale in programma a Parigi per l’anno dopo. Il Picasso (che diventerà, non a caso, uno degli artisti più ricchi della storia) ebbe una pensata geniale: fece qualche modifica alla tela per il torero, la ribattezzò Guernica (dal nome della città basca bombardata dall’aviazione tedesca e italiana) e la vendette al governo «popolare» per la non modica cifra di 300.000 pesetas dell’epoca. Qualcosa come qualche miliardo – pare due o tre – di lire di oggi, che furono versati da Stalin attraverso il Comintern. Contento Picasso, ovviamente; contenti anche i socialcomunisti, che di quel quadro di tori e toreri fecero un simbolo che è giunto sino a noi ed è continuamente riprodotto, con emozione, come simbolo della protesta dell’umanità civile contro la barbarie nazifascista. Stando e molti critici d’arte, Guernica è il più celebre quadro del secolo. E, ciò, grazie proprio alla “sponsorizzazione” da parte delle sinistre, a cominciare dai liberals occidentali: la tela picassiana ebbe una sala tutta per sé al Metropolitan Museum di New York e vide milioni di “pellegrini” sfilare in un religioso silenzio. Si arriva al grottesco di interpretazioni come quella – un esempio a caso tra mille – della pur pregevole enciclopedia Rizzoli-Larousse che alla tela dedica oltre venti, fitte righe, nelle quali si dice, tra l’altro: “Motivo centrale, l’angoscia della testa del cavallo che sovrasta il duro lastricato dei cadaveri: in alto, a sinistra, l’antico simbolo della violenza, il Minotauro”. Ora, il presunto “Minotauro” altro non è che il toro che uccise Joselito; e il cavallo è quello del picadòr, sventrato nell’arena dallo stesso animale. Una storia, dunque, di tauromachìa, dove la “protesta civile”, la “passione politica” non c’entrano nulla, se non, forse, in qualche particolare aggiunto per rifilare il quadro, a suon di miliardi, alle generose Izquierdas iberiche».
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