18 novembre 2004 :: Corriere della Sera Magazine, di Vittorio Zincone
All’inizio era un semplice appello sul Foglio (più o meno condivisibile) per difendere la libertà di Rocco Buttiglione di esprimere le sue idee di fronte al Parlamento europeo senza per questo mettere in gioco l’incarico di Commissario. Poi, è diventato un coro per la tutela dell’identità cristiana di fronte al vuoto del laicismo e alla minaccia islamica. Infine si è materializzato qualcosa di più concreto: Buttiglione ha accennato a un progetto per formare un gruppo che difenda la libertà dei cristiani e Giuliano Ferrara, in un articolo in cui parlava di «buone ragioni che non dovrebbero essere trascurate e considerate clericalismo», ha lanciato una raccolta di fondi per creare una rete che «organizzi un discorso pubblico influente».
Nessuno ha minacciato la creazione di un vero e proprio partito cristiano. Ma le accelerazioni di Ferrara e Buttiglione (dall’appello al movimento?), sono bastate per allontanare molti degli intellettuali laici che li avevano spalleggiati e per convincere Gianni Baget Bozzo e il cardinal Renato Raffaele Martino (che avevano firmato l’appello in favore del ministro dell’Udc) a una cauta frenata. Lo stesso presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Camillo Ruini, che generalmente tiene sott’occhio le querelle italiane che toccano la religione, ha preferito non pronunciarsi.
La Chiesa, a parte alcune eccezioni come il rettore della pontificia università Lateranense, Rino Fisichella, e l’Arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra
sembra aver preso le distanze dalle iniziative ferrarian-buttiglionesche. Con una composta afasia. Per capire il perché di questo cauto mutismo il Magazine ha intervistato Vittorio Messori, collaboratore ultra-cattolico del Corriere della Sera e autore di molti libri sul Cristianesimo, tra i quali Rapporto sulla fede (un’intervista al Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede) e Varcare le soglie della speranza (un colloquio best-seller con il Papa).
«Intanto devo precisare la mia posizione», dice Messori. «Io, come intellettuale cattolico non mi sento affatto perseguitato. Sono convinto che se oggi in Italia la cultura cattolica non è presente come dovrebbe, è solo colpa dei cattolici. Più che di persecuzione si dovrebbe parlare di pigrizia». Quindi Buttiglione non è la «strega cattolica» che il Parlamento europeo ha messo sul rogo? «Non direi. Mi pare piuttosto che Buttiglione sia stato poco furbo: è caduto in un trappolone ad personam». Ed è per questo che il Vaticano non è sembrato più di tanto interessato? «La Chiesa non si scalda per l’affaire Buttiglione soprattutto perché lui è un esponente di una parte politica, il centrodestra. La Gerarchia ecclesiastica sa bene che ci sono cattolici sia nel Polo che nell’Ulivo. Quindi… Forse ci sarebbe stato un maggior impegno se il caso Buttiglione si fosse verificato prima dell’implosione della Democrazia cristiana. Ora gli ex diccì sono ovunque. Un po’ come i redattori del Sabato, il vecchio settimanale di Comunione e Liberazione. Quando il periodico ha chiuso i giornalisti, bravissimi, sono finiti dappertutto». Già: Antonio Socci è direttore della Scuola di Giornalismo Rai, Renato Farina è vicedirettore di Libero, Franco Bechis è direttore del Tempo, Giuseppe Frangi è direttore di Vita, Michele Brambilla, che prima era al Corsera, ora dirige la Provincia di Como. Allo stesso modo, in politica, le «schegge cattoliche» si sono conficcate a destra e a manca. Qualche esempio? Beppe Pisanu è ministro degli Interni di Forza Italia, Romano Prodi è al timone della Gad, Publio Fiore è Alleanza Nazionale e Franco Marini nella Margherita.
In pratica gli ex diccì distribuiti nei vari partiti garantiscono una buona copertura alle istanze del cattolicesimo. Per questo forse Giulio Andreotti commentando l’agitarsi sui temi del cristianesimo del direttore del Foglio e del ministro per le Politiche comunitarie ha detto: «Non sapevo che Ferrara e Buttiglione avessero scritto un quinto Vangelo». «Andreotti conosce bene i rapporti tra Chiesa romana e partiti», continua Messori. «Una volta mi ha detto: “Ci sono due tipi di matti: quelli che credono di essere Napoleone e… quelli che pensano di organizzare il partito cattolico perfetto”. La Dc è durata cinquanta anni proprio perché non ha mai fatto crociate. Era un corpaccio fatto di “et et” e non di “aut aut”». Eppure sia Ferrara che Buttiglione dicono di spendersi proprio per i valori l’identità cristiana. «Condivido con loro il fatto che in Europa, oggi, l’unico pensiero forte e organico degno di questo nome è il cattolicesimo di Giovanni Paolo II. Poi però conosco Ferrara. Ammiro la sua intelligenza “luciferina”, mi divertono le sue piroette, ma non mi piace il fatto che si definisca ateo-devoto. C’è un precedente: Charles Maurras, il fondatore di Action Francais». Addirittura? «Anche lui si definiva athée catholique. Ma poi il suo movimento è stato scomunicato. A Maurras non interessava il Cristo, ma il cristianesimo come ideologia. Gli piaceva la liturgia, il culto della tradizione. Ammirava i dogmi cattolici perché ci vedeva una tradizione millenaria. Ma non era credente. Oggi, io penso che chi si avvicina come Ferrara ai valori cristiani senza sapere cos’è l’Eucarestia non può capire il proprio della Chiesa». Ma magari ne può voler difendere le istanze: Ferdinando Adornato, presidente della Commissione Cultura alla Camera, recentemente ha esortato Silvio Berlusconi a seguire le orme di Bush e a «parlare di Dio e di valori». «L’importante è che non si arrivi a una strumentalizzazione del cattolicesimo», dice Messori. «Da Costantino in poi, tutti hanno cercato di usare la Chiesa e i valori cristiani per i propri fini politici. Cavalcare la tigre cattolica è una tentazione diffusa. Soprattutto ora che la Summa di Karol Wojtyla esercita un’attrazione fortissima. Ferrara e Buttiglione però sappiano che chi nella storia ha cercato di mettere sulla stessa zattera cattolici credenti e atei devoti è stato fulminato dalla Chiesa».
Resta solo da vedere se l’anatema messoriano riguarderà anche gli eventuali comitati del «No» che il direttore del Foglio prospetta in occasione del referendum sulla legge per la procreazione assistita.
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