3 ottobre 2004 :: Corriere della Sera, di Vittorio Messori
Tra i cinque nuovi beati proclamati oggi da Giovanni Paolo II, tre rientrano nella «normalità»: due religiosi e una suora, fondatrice di una Congregazione. Gli altri due che giungono agli altari fanno invece parte di quei casi difficili che solo il decisionismo di questo Papa è riuscito a sbloccare dopo traversie, opposizioni tenaci, polemiche. Per Anna Katharina Emmerick i problemi sono stati interni alla Chiesa. Una mistica stigmatizzata, una veggente, una creatura vissuta per 11 anni di sola eucarestia ed acqua. Un personaggio del genere non era di certo congeniale ai teologi e alle alte gerarchie, gruppi umani tra i più tentati dallo scetticismo, magari dal razionalismo. Non a caso la Passione di Gesù, «vista» dalla Emmerick dal suo letto di paralizzata, ha fortemente segnato Mel Gibson: i gruppi cattolici tradizionali, ai quali il regista ed attore è vicino, scorgono in questa straordinaria carismatica un’antidoto al modernismo di cui accusano l’intellighenzia cattolica. Ma lo stesso Sant’Ufficio, almeno un paio di volte, ordinò di archiviare la pratica. L’arrivo in porto, dopo oltre un secolo e mezzo, è una sorta di prova di forza dello stesso Papa che è riuscito a beatificare Pio IX, contro il quale militavano potenti lotti.
Difficoltà soprattutto esterne alla Chiesa, invece, per la glorificazione di Carlo I, ultimo imperatore dell’impero austroungarico. Uomo sul quale si appuntarono gli odi convergenti sia della sinistra repubblicana e del liberalismo massonico sia del nazismo. Progressisti e reazionari marciarono uniti contro questo giovane sovrano e la sua memoria. In Hitler, l’avversione per l’ultimo Asburgo, raggiunse picchi patologici, da bava alla bocca.
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna ricordare che al rovesciamento di alleanze (dalla triplice con l’Austria e Germania, all’Intesa con Francia e Inghilterra) e all’intervento in guerra, nel 1915, parteciparono attivamente gli esponendi del radicalismo democratico e delle Logge. Agiva, in essi, il vecchio desiderio di spazzare via la monarchia austriaca, erede del Sacro Romano Impero, bastione del cattolicesimo, nutrita ancora di tradizioni Ancien Regime. Quell’impero andava distrutto e con esso gli asburgo «papisti».
Quanto al nazional socialismo: non a caso l’austriaco Adolf si sottrasse alla chiamata alle armi del suo Paese, che detestava, e si arruolò volontario con le truppe bavaresi. Anche per lui, l’antica monarchia era esecrabile per la fede religiosa che onorava pubblicamente e per la tolleranza verso le otto nazionalità dell’Impero. L’avversione hitleriana ingigantì quando, nel 1916, alla morte di Francesco Giuseppe, salì al trono il giovane Carlo che era noto per il suo cattolicesimo militante e che si rese addirittura colpevole di ciò che per il militarismo tedesco era un tradimento abominevole. La proposta, cioè, di intavolare trattative con il nemico per giungere a una pace equa, senza vinti né vincitori. Se la Grande Guerra non terminò almeno un anno e mezzo prima, risparmiando all’Europa qualche milione di morti (e all’America l’intervento) lo si deve alla rabbiosa opposizione di sinistre e destre, unite, ai tentativi di pace di Carlo I. Il quale, d’accordo con il Papa nel considerare quella lotta una «inutile strage», fu oggetto d’odio di radicali e di nazionalisti, di liberali massoni e di fautori della guerra come igiene del mondo e come volontà di potenza.
Personaggio ammirevole, quest’ultimo imperatore morto a 35 anni di stenti, relegato in un’isola dell’Atlantico. In lui, sembrano rivivere le virtù leggendarie dei re medievali. Mentre Cadorna (e, con lui, tutti gli altri Signori della Guerra) invasati dalla mistica dell’assalto in massa, siluravano i generali che non esibissero un alto numero di caduti, Carlo I destituiva i comandanti che registravano perdite troppo alte tra i loro soldati. Mentre i franco-inglesi e i tedeschi cercavano gas sempre più micidiali, il comandante supremo della Duplice Monarchia cedette all’ira, per la prima volta nella sua vita, quando seppe che le divisioni tedesche sfondarono a Caporetto con l’uso massiccio degli asfissianti. Al fronte, dicevano i generali, si mangiava assai meglio che al palazzo di Vienna, dove la famiglia imperiale campava con la tessera alimentare di operai e contadini. All’amore del popolo, faceva contrasto l’odio dei ricchi e dei privilegiati per la sua politica di giustizia sociale secondo gli insegnamenti della Chiesa.
Figura poco studiata, questa di Carlo I, perché «politicamente scorretta» per gli ideologi del Novecento. Ma la Chiesa non lo ha dimenticato e, da oggi, lo prega sugli altari e lo propone come esempio ai governanti.
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