VITTORIO MESSORI

Quelli che conobbero «Karol il Grande» La corsa a svelare l’aneddoto personale

28 aprile 2011 :: Corriere della Sera, di Vittorio Messori

Qualcuno già ironizza e ancor più potrà farlo nei prossimi mesi: sono appena usciti, o usciranno presto – in articoli, interviste scritte e televisive o addirittura libri – i ricordi di chi lo accompagnava come maestro di sci, di chi gli faceva da guida nelle escursioni in montagna, di chi una volta lo accolse in casa o gli preparò uno spuntino, di chi ebbe con lui uno scambio di battute, di chi fu incoraggiato nel suo impegno politico, di chi organizzò il servizio d’ordine in quella data occasione, ovviamente «storica». Attorno alla memoria del beato Giovanni Paolo II – tra poche ore – si affollano i testimoni, gemono i torchi tipografici, si impegnano i conduttori televisivi. Qualche collega me lo segnala, lo dicevo, ironizzando sul protagonismo di tanti, in Italia, in Polonia ma anche in altri Paesi. Quanto a me, malgrado certi aspetti un po’ fastidiosi, guardo con comprensione se non con un pizzico di simpatia a tutti costoro che vogliono far sapere che, almeno quella volta, loro c’erano.
Per capirci: innanzitutto non va dimenticato che Karol Wojtyla visse per 85 anni, per 14 fu arcivescovo di Cracovia, per 27 papa, visitò da protagonista più di 100 Paesi del mondo e a questi viaggi esotici volle aggiungere anche tutte le innumerevoli parrocchie della sua diocesi, Roma. Le persone di ogni etnia e cultura che ricevette in udienze pubbliche e private o che ebbe a tavola (non amava pranzare da solo) o che invitò alla sua Messa privata dell’alba, potrebbero quasi riempire, se riunite, una piazza San Pietro. Insomma, pochi uomini, nella storia intera, ebbero tanta possibilità di contatti, di conoscenze, di amicizie, di esperienze umane di ogni tipo. La sua attenzione all’altro, poi, lo portava a interessarsi dei casi personali dell’autista dell’auto che lo conduceva o del pilota che lo trasportava in elicottero con la stessa attenzione con cui ascoltava i grandi della terra che lo attendevano emozionati. Nelle sue passeggiate in montagna non si limitava a salutare i contadini che incontrava ma spesso entrava nelle loro case, magari accettava di assaggiare un poco di vino o una specialità locale. Chi lo ha conosciuto a Cracovia ricorda che, con lui, il solenne palazzo arcivescovile era diventato un porto di mare e che per tutti aveva tempo per accogliere e per ascoltare. E così da sempre, sin da quando era giovane prete di parrocchia.
Insomma, anche solo per la «legge dei grandi numeri» è innumerevole la quantità di potenziali testimoni di quella vita straordinaria. Ma a questo va aggiunto il carisma che sembrava circondarlo come una sorta di aura e che chi lo avvicinava avvertiva: lo stesso generale Jaruzelsky, pur dichiarandosi sempre ostinatamente ateo, ha voluto parlarne, presentandosi volontariamente come testimone al processo di beatificazione. Molti, addirittura, riscopersero la fede dopo averlo incontrato e nessun potente del mondo, per quanto ostile, osò mai mancargli di rispetto. Anzi, soggiogati da quella personalità, persino dei tiranni africani o asiatici o sudamericani accettarono di adottare misure di clemenza.
Quando morì, fu pianto in tutto il mondo, mai si videro tante delegazioni straniere a un funerale e, istintivamente, molti lo chiamarono «Karol il Grande». Di fronte alla sua bara, abbassarono in silenzio le bandiere anche gli ideologi che più lo avevano avversato. Se questo era l’uomo, come stupirsi – o ironizzare – se tanti di quelli che lo incontrarono vogliono dirci quanto importante sia stato per loro una pur fuggevole vicinanza? In fondo, anche racconti segnati da una certa ingenuità o magari da un poco di vanità, aiutano a capire perché tanto presto la Chiesa abbia voluto dargli la gloria degli altari e perché tanti, nel mondo, stiano facendo proprio ora le valigie per Roma.

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