VITTORIO MESSORI

Il Papa in TV? Un’ora di (sano e solido) catechismo.

23 aprile 2011 :: Corriere della Sera, di Vittorio Messori

Al di là degli entusiasmi di certi ambienti clericali un po’ ingenui –quelli per i quali qualunque scelta vaticana, anche se meramente pastorale, è sempre da applaudire– è davvero positivo che il Papa vada in tv a farsi intervistare? E’ positivo, questo, alla luce del grande principio che deve guidare ogni attività della Catholica e con il quale si chiude non a caso il Codice di Diritto Canonico: “La salvezza delle anime sia per la Chiesa la legge suprema“? A quella “salvezza“ giova davvero l’impiego di ogni tecnica e tecnologia?

Se guardiamo alla storia, la risposta sembra essere ampiamente positiva. Quella Chiesa sospettata spesso di diffidenza verso il progresso, in realtà è quella che in Italia introdusse la tipografia, con la stamperia di Subiaco presso la celebre abbazia benedettina. Pio IX adottò la fotografia per riprodurre il suo ritratto in decine di migliaia di copie, diventando così il primo papa il cui volto fosse conosciuto dai fedeli non solo attraverso stampe e dipinti rari e spesso imprecisi. A don Bosco (ampiamente incoraggiato dai pontefici) si devono i primi, grandi best seller italiani: la serie de Le letture cattoliche e l’almanacco popolare Il galantuomo. Don Alberione, fondatore dei Paolini, creò non solo giornali ad alta tiratura ma anche grandi imprese di produzione cinematografica con diffusione mondiale. Pio XII fu il papa della radio, cui ci teneva ad affidare i suoi messaggi più importanti. Paolo VI fu il pontefice della televisione in bianco e nero, a un solo, massimo due, canali statali. Di Giovanni Paolo II, tra i cui molti carismi c’era quello dell’attore, sfondò gli schermi ormai a colori delle centinaia di emittenti divenute commerciali e non più governative.

Ma, al di là dei mezzi messi a disposizione dalla tecnica e accolti dalla Chiesa per praticare il suo apostolato, è davvero opportuno che sia il Papa stesso a servirsene, per giunta nella forma della intervista? Se mi è permesso un cenno personale, ricordo che –con convinzione pari al rispetto- mi permisi di dire la mia a Giovanni Paolo II quando volle convocarmi per quella che doveva essere la prima intervista televisiva, per giunta lunga un’ora, a un pontefice. Poiché mi sollecitava un parere, gli dissi: <<Santità, le parlo in base alla mia esperienza della informazione. Accettare il genere, giornalistico per eccellenza, della intervista significa accettarne le leggi: che sono quelle del “secondo me“, dello “stando alla mia opinione“. L’informazione attuale vuole solo pareri, di certo non accetta alcun dogma. Ebbene, ora più che mai, sia noi credenti che gli stessi non credenti in ricerca sincera, non abbiamo bisogno di un opinionista in più (di questi ne abbiamo sin troppi) ma di un Maestro. Di un uomo che non dica “secondo me“ ma che parli con autorità, che abbia il coraggio di dire “secondo la rivelazione di Dio“>>.

Forse sbagliavo; ma, forse, anche a causa di questo colloquio, poche ore prima della registrazione -quando Pupi Avati, scelto come regista, dava gli ultimi tocchi allo studio papale di Castelgandolfo trasformato in set- giunse improvviso l’annuncio che il progetto era annullato. E fu ripreso poi, sempre per iniziativa di Giovanni Paolo II, con la formula meno rischiosa dell’intervista sì, ma scritta, destinata a un libro.

Mi pare che il problema non si sia posto, o lo sia stato in modo molto attenuato, per le Domande su Gesù, guidate ieri con mano rispettosa ma sicura dal giovane Rosario Carello e dalla equipe di “A Sua immagine“. In effetti, più che di intervista si è trattato di sette domande formulate da “gente comune“, vagliate e comunicate in anticipo a Benedetto XVI. Più che un prodotto giornalistico, un ottimo esempio di catechesi. Joseph Ratzinger mette a frutto, in simili occasioni, il suo carisma specifico: quello, cioè, di grande teologo che, però, non dimentica il suo dovere di pastore; l’intellettuale che sa e dice cose profonde, ma cercando di farsi comprendere da tutti. Tra le cose che hanno sorpreso coloro che giudicavano quest’uomo da stupidi pregiudizi (Grande Inquisitore, Panzer Kardinal, rigido professore teutonico …) c’è l’attenzione che sa riscuotere non solo presso i giovani ma persino presso i bambini, alle cui domande replica con semplicità sapiente.

Il problema del male, il giovane in stato vegetativo, gli orrori della guerra, la persecuzione dei cristiani, la Risurrezione di Gesù e la vita eterna, il ruolo di Maria nella vita cristiana. Temi e problemi “da catechismo“ affrontati da Benedetto XVI secondo la prospettiva tradizionale, ma rischiarata da espressioni efficaci (l’uomo in coma come “una chitarra dalle corde tagliate“) o da citazioni dei Padri della Chiesa (Gregorio Nazianzeno: “Le parole della Scrittura crescono quanto più le si legge“ o Agostino: “per amare bisogna conoscere“).

Nessun “secondo me“, dunque nessun rischio di ridurre un papa a opinionista da giornale. Un’ora rasserenante e, per molti –ormai ignari dello stesso abc cristiano- certamente illuminante, tanto da far auspicare una sua ripresa, magari periodica.

Anche ai laici, forse, non dispiacerebbe scoprire come un professore divenuto pontefice legga e spieghi il catechismo.

© Corriere della Sera