Processo a Messori

30 marzo 1994 :: L’Italia, di Rodolfo Sinesi

Da quattro anni ha lasciato Milano e con un paio di Tir carichi della sua biblioteca di storia delle religioni – si è trasferito sul lago di Garda, a Desenzano. Qui, dice di volere “fare l’eremita”, di dedicarsi soltanto a quella «ricerca su ciò che davvero conta che l’ha condotto ad essere il più letto e il più tradotto scrittore cattolico italiano. Da sempre rifiuta “comparsate” televisive, ha interrotto (almeno per ora) le collaborazioni giornalistiche, rifiuta le più allettanti proposte.

Curioso personaggio, Vittorio Messori, 52 anni, una laurea a Torino con i guru del laicismo (Bobbio, Firpo, Galante Garrone), “praticantato” giornalistico e una lunga milizia a La Stampa e poi altrove, sulle spalle alcuni milioni di copie di libri, a cominciare da quelle di Ipotesi su Gesù, del 1976, continuamente ristampate e tradotte, anche in coreano e in braille. Un suo libro è addirittura entrato nelle storie della Chiesa: è Rapporto sulla fede.

Pur ritirato nel suo “eremo” lacustre, Messori continua a colpire. In questi giorni, Mondadori ha lanciato, con una prima tiratura inconsueta (imposta dagli stessi librai con le prenotazioni), il suo decimo libro. Un po’ meno di 300 pagine, una copertina di drammatico rosso-cardinalizio dal titolo Opus Dei. Un indagine.

Subito, il volume si è trovato sotto un tiro incrociato. Fulmineo, la settimana stessa dell’uscita, il vaticanista di Famiglia Cristiana: «Macché inchiesta, questa è un’apologia! Cattolici progressisti, diffidate di queste pagine che danno un’idea troppo positiva della fascistoide, tenebrosa Obra!». Dall’altra parte, il caustico “mangiapreti doc” Giordano Bruno Guerri su Il Giornale: «Messoci è diabolicamente abile, questo libro rischia di essere un best-seller da un milione di copie: un disastro, impedirà a molti di conoscere il volto vero di una lobby mondiale di fanatici e affaristi».

Alla scrivania della sua biblioteca aperta su un giardino appartato, Messori non si scompone. Anzi, commenta ironico: «È solo l’inizio: ed è tutto come previsto».

Come sarebbe “previsto”? Anche il violento attacco dell’informatore religioso del più diffuso giornale cattolico contro l’istituzione fondata da Escrivà de Balaguer, beatificato due anni fa, con solennità inaudita, da Giovanni Paolo II? Preti contro il Papa, dunque? Ma poi, tra l’altro, dove sta il fair play, consueto in questi casi nei giornali, dove semmai si tace ma non si aggredisce così il libro di un collaboratore? Messori, da ormai 15 anni, scrive ogni mese su Jesus, il mensile di Famiglia Cristiana e alcuni suoi libri (come il recente Pensare la storia e La sfida della fede) li ha pubblicati presso le Edizioni San Paolo. L’ira tecnologica è dunque più forte di simili considerazioni?

Pronta la risposta dello scrittore: «Lo stesso fondatore dell’Opus Dei confidò che la persecuzione peggiore – e ininterrotta, dall’inizio alla fine della sua vita: ma, come si vede, continua anche a quasi vent’anni dalla morte – gli era venuta da los buenos, dall’interno della Chiesa».

Come mai tanta ostilità da parte dei settori del gauchisme clericale, mentre papi, cardinali, vescovi (un terzo dell’episcopato mondiale ha chiesto al pontefice la beatificazione di Escrivà) approvano e incoraggiano l’Opera? «Beh, forse proprio per questo – risponde Messori – oggi, presso certa intellighenzia “tonsurata” l’ortodossia, l’obbedienza e il rispetto per la gerarchia, l’entusiasmo per la fede, il desiderio di apostolato sono considerati insopportabili retaggi preconciliari, non consoni a quello che chiamano un “cristianesimo aperto e adulto”. ma, soprattutto, c’è una deformazione che ha sfigurato certo cattolicesimo».

Deformazione? «Ma sì: l’accettazione di categorie politiche (“progressisti-conservatori”; “destra-sinistra”) per giudicare realtà religiose. Abusivamente (e nel libro lo si dimostra) l’Opus Dei fu considerata legata al franchismo: questo fa scattare una sorta di riflesso negativo alla Pavlov presso certi Church-intellectuals, ormai convinti che si è santi solo se si è di sinistra; mentre se si è di destra bisogna pentirsi pubblicamente. D’altro canto, non c’è toccato di sentire un vescovo piemontese dichiarare pubblicamente che, oggi, Gesù voterebbe senz’altro per Occhetto e Bertinotti?».

Secondo lo scrittore, poi, «certa demagogia che ha inquinato anche conventi e sacrestie scatena furori contro un Escrivà de Balaguer che (del resto secondo la prospettiva cattolica di sempre), ammoniva che la povertà materiale, di per sé, non salva nessuno e che ciò che conta non è la quantità di beni che si posseggono o no, ma l’atteggiamento del cuore. Così, nell’Opus Dei c’è posto per tutti: operai e “padroni”, casalinghe e donne in carriera, ignoranti e professori. Non c’è, per questa spiritualità, alcun mestiere proibito, se non quelli esclusi anche dal codice penale: no, solo i mendicanti, come vorrebbero i populisti, pure politici, banchieri, industriali (scandalo massimo per il moralismo giacobino oggi anche cattolico!) possono diventare santi non malgrado ma grazie al loro lavoro, se compiuto per amore di Dio e dei fratelli».

Già: questo quanto ad aggressività “cattolica”. Ma quanto a quella “laica” di cui Guerri è buon esempio? “E’ significativo – osserva Messori che il vaticanista di Famiglia Cristiana sia stato ben più astioso del simpatico, in fondo, “mangiapreti”. In effetti, la “leggenda nera” contro l’Opus nasce in ambiente clericale e ancora oggi da lì viene l’input”.

Perché, comunque, tanta avversione anche “laica”? «Come mostro nel libro, caduta la credenza nel diavolo si va alla ricerca di sostituti: “grandi vecchi”, “burattinai”; “superiori incogniti”. Credo che il timore per la Obra appartenga anche alla patologia della secolarizzazione, alle nuove superstizioni “laiche”. Si è mai pensato che solo in una cultura come la nostra, ossessionata dall’idea irrazionale di “complotto”, poteva nascere la specializzazione giornalistica del “dietrologo”‘.’

© L’Italia