Vittorio Messori e lo strano caso d’un contadino spagnolo del ‘600
21 novembre 1998 :: L’Unione Sarda, di Sergio Sotgiu
Di Calanda, piccolo borgo della Bassa Aragona, si sa che ci è nato il regista Louis Bunuel. E poi che talvolta ricorre nell’espressione che alcuni in Spagna usano per indicare qualcosa di eccessivo, di incredibile: “questa è una leggenda come il miracolo di Calanda”.
Una leggenda? Quando il racconto giunse alle sue orecchie lo credeva anche Vittorio Messori, lo scrittore cattolico più letto d’Italia, l’autore italiano più diffuso all’estero.
Ma anche come leggenda, quella di CaIanda, è piuttosto misconosciuta, tale perciò da aumentare interesse e la curiosità di Messori che, da esperto esploratore di archivi e attento compulsatore di documenti, ha voluto vedere meglio in questa vicenda.
Almeno per capire dove finisce la verità storica e dove inizia il gusto del meraviglioso. Il materiale non manca di certo e la ricostruzione che Messori ce ne offre ne Il Miracolo (Rizzoli, lire 28 mila), ha lo stile lineare e incalzante che tutti riconoscono al famoso autore dei libro intervista a Giovanni Paolo secondo.
Ma vediamo di ricostruire i fatti.
Miguel Juan Pellicer era un povero contadino di Calanda che decise di migliorare le sue sorti andando a lavorare presso certi suoi parenti nella piana di Valencia. Aveva vent’anni quando un giorno di luglio del 1637 ebbe un brutto incidente e finì sotto le ruote di un carro.
I rimedi dei tempo non suggerivano altra soluzione che l’amputazione della gamba spezzata e subito dopo incancrenitasi. All’ospedale di Saragozza si procedette dunque all’operazione con sega e scalpello tagliando la gamba destra quattro dita sotto il ginocchio e provvedendo poi alla cauterizzazione coi ferri roventi.
Due infermieri provvidero a seppellire l’arto amputato nell’area apposita del cimitero dell’ospedale. “Il rispetto cristiano per il corpo destinato alla resurrezione imponeva venerazione, in quell’epoca di fede, anche per i resti anatomici, che sarebbe stato sacrilego trattare come rifiuti”, nota Messori.
Nella primavera successiva Migiel Juan venne dimesso dall’ospedale con una gamba di legno e una stampella. Nonché con un patentino concesso dall’efficiente sistema di solidarietà sociale del tempo: una sorta di autorizzazione a mendicare presso il santuario della Veneratissima Vergine del Pilar.
Lì quotidianamente, Miguel Juan unge il moncone della gamba con l’olio delle lampade votive, segue le funzioni religiose e chiede la questua.
Due anni dopo ritorna alla casa del padre, a Calanda, quando la notte del 29 marzo 1640, la madre del giovane entra in camera e vede il figlio che dorme. fornito però di due gambe quando poco prima non ce n’era che una sola.
Spavento, stupore, lacrime di gioia, tanti accorrono e constatano: non si tratta di una gamba nuova, ma di quella stessa che due anni prima gli era stata amputata, come attestano le cicatrici dei morso d’un cane che lo aveva aggredito quando era bambino.
Tutti in paese conoscevano il giovane e le sue condizioni di salute, l’incidente, l’amputazione e ora il riattacco della gamba prodigiosamente attribuito all’intervento della Madonna dei Pilar.
Milagro, anzi “il miracolo dei miracoli”, come dicono gli spagnoli. Sicché molti, solo pochi giorni dopo, andranno a testimoniare del prodigio davanti ad un notaio venuto da un paese vicino.
Numerose e circostanziate anche le testimonianze al processo canonico che ne segui, nessun segno d’interferenza invece da parte della Suprema, come gli spagnoli chiamavano l’Inquisizione, vigilantissima a combattere ogni traccia di cedimento agli entusiasmi e alle esaltazioni verso il meraviglioso, il visionario, l’apocalittico, il profetico.
Tutto quanto insomma potesse modificare i ritmi di una devozione com’era quella cattolica nella Spagna barocca, accolta dalle persone d’ogni condizione, cultura e ceto sociale.
Lo stesso re di Spagna Filippo IV ricevette a corte il giovane miracolato, a conferma del fatto che nessuno avanzò ombre o dubbi sulla prodigiosa vicenda. La messe dei documenti è, poi, così abbondante e solida al punto che se non l’accettassimo, dice Messori, “dovremmo persino mettere in dubbio che sia esistito Napoleone”
E poi? e poi si perdono le tracce del giovane miracolato. Andò via da Calanda, la curiosità della gente non è pressione a lungo sopportabile, forse, per lui seguirono anni sbandati. A nulla sono approdate le ricerche condotte in Spagna per saperne di più.
Dopo aver valutato ogni cosa Messori non esclude che il campesino miracolato possa essersi rifugiato proprio in Sardegna, allora legata alla corona d’Aragona, per trovare quella pace per lui impossibile ormai in terra spagnola.
Chissà se in qualche archivio della Sardegna a cominciare da quello di Cagliari, non vi sia qualche traccia dei passaggio di Miguel Juan. Certo è che un segno del culto della Vergine dei Pilar (che era promosso dagli aragonesi) in Sardegna l’abbiamo: è a Villamassargia, dove grazie alla spinta della religiosità popolare la bella chiesa ch’era intitolata a San Ranieri venne dedicata al Pilar.
Questo è quanto attesta la documentazione storica relativa a un miracolo assolutamente unico nella storia e -occorre precisarlo- così poco noto e per nulla “sfruttato”.
A libro chiuso, a 350 anni dai fatti, ci rivolgiamo lo stesso interrogativo che si pose Messori all’inizio di questo suo saggio credere o non credere?
E’ facile concludere che ci vuole più fede a negare che a consentire… E lo stesso Louis Bunuel, che ringraziava Dio di essere ateo, al miracolo di Calanda credeva fermamente…
© L’Unione Sarda