Un miracolo e una gamba
La Gazzetta di Parma
La posizione del miracolo nella dottrina cattolica è chiara, la fede è fede indipendentemente dalle manifestazioni eccezionali del divino in deroga alle leggi della natura. Chiedersi a cosa servano i miracoli appare allora una domanda insieme ingenua e provocatoria. Sergio Quinzio notava come nei Vangeli i miracoli siano il segno dell’irruzione della potenza e della giustizia di Dio nel mondo (al contrario dei miracoli delle altre religioni, che sono il segno della possibilità dell’uomo di influire sulle potenze cosmiche), e per questo nella Scrittura restano come avvenimenti che possono confermare la fede ma non suscitarla. spiegazione coerente, certo, a quella pascaliana per cui la fede è suggerita da Dio ma non imposta, e un margine di dubbio all’interno del miracolo è sempre presente per lasciare spazio al libero arbitrio e alla possibilità di credere per fede. Da sempre i miracoli hanno seguito questo schema. Ma ora ecco un nuovo libro di Vittorio Messori, l’autore di Ipotesi su Gesù e del vendutissimo e tradottissimo libro-intervista al Papa del 1994, che riporta alla luce la storia di un miracolo clamoroso nel meccanismo (il riattaccamento di una gamba tagliata due anni e mezzo prima e sepolta a cento chilometri di distanza) e nella documentazione (ci sono gli atti di un processo per stabilire se il miracolato effettivamente è stato due anni e mezzo senza una gamba). Non c’è da meravigliarsi se in un miracolo viene riattaccata una gamba: quel che importa, per Messori, è la documentazione storica, che lo porta a dover ammettere l’esclusione del margine di dubbio, e l’unicità della tipologia di manifestazione dell’evento. Presumiamo che Il Miracolo (Rizzoli, 256 pagg., L. 28.000), libro peraltro di meravigliosa felicità narrativa, farà parlare abbastanza di sé nelle prossime settimane. Vediamo rapidamente i fatti: Miguel Juan Pellicer, contadino di Calanda, in Aragona, aveva vent’anni nel 1637 quando lasciato il paese natale per lavorare la terra a Castellón de la Plana, a una sessantina di chilometri da Valencia, cade da un mulo che tirava un carro pieno di grano e una ruota gli passa sopra la gamba rompendogli la tibia. Ricoverato a Valencia (da qui comincia la lunga dettagliata documentazione del caso), dopo inutili medicamenti chiede di andare in pellegrinaggio al santuario della Madonna del Pilar a Saragozza, ove si confessa e si comunica, poi viene ricoverato all’ospedale locale dove, constatata la cancrenizzazione ormai avanzata dell’arto, si decide per l’amputazione. Privato della gamba, datosi a vita di mendicante, il ragazzo torna a Calanda solo nel 1640. La sera del 29 marzo si stende sul pavimento, perché obbligato a cedere il letto a un soldato della Cavalleria Reale in sosta a Calanda, si copre con una cappa, si addormenta: poco dopo la madre entra nella stanza, avverte «una fragranza e un odore soavi», controlla se il figlio dorme, ma le cade lo sguardo su un particolare sconcertante: dalla coperta spuntano due piedi «cruzados», incrociati. La lunga vicenda processuale e le testimonianze dell’evento sono ampiamente il lustrate da Messori, e il libro si conclude con trentadue pagine di illustrazioni a colori (lei luoghi del miracolo e delle testimonianze giuridiche e iconografiche. Perché il «Miraculumn a saeculo non auditum non abbia avuto la notorietà che meritava, resta una domanda alla quale neppure l’autore riesce a dare spiegazione plausibile: seppure avesse breve eco fuori di Spagna, seppure giungesse anche all’entusiasta papa Urbano VIII, Messori non trova ragione della sua circoscritta popolarità se non nell’incredibilità del fatto e nelle vicende storiche sfavorevoli alla Spagna, dalla peste al socialismo. Chissà. Ma il punto focale di tutta questa storia non è tanto il miracolo unico nel suo genere (i miracoli sono pur sempre miracoli), né che la documentazione non lasci ai dubbi, ma la natura della documentazione storica stessa. Per Messori, la notifica giuridica è fondamentale per definire il fatto «attestato con sicurezza», e pertanto da prendersi per reale così come si prende per reale tutta la storia dell’umanità attestata da documenti. Forse non è neppure il caso di ricordare Flaubert, me ha fatto volpinamente Beniamino Placido qualche giorno fa, quando diceva che «ogni fatto inventato è vero». Il vero problema che emerge dal libri di Messori non è religioso, ma storiografico.
© La Gazzetta di Parma