Quel miracolo di gamba
Questo articolo avrebbe dovuto essere pubblicato su Repubblica del tempo; una bozza venne trasmessa dal recensore allo scrittore prima della pubblicazione che, tuttavia, non avvenne. Per la sua verve e la sua accuratezza merita, secondo il curatore di questo sito, d’essere pubblicato qui.
di Marco Travaglio
La sera dei 29 marzo 1640, Miguel Juan Pellicer si addormentò con una gamba sola, la sinistra. La mattina dopo, si svegliò con tutt’e due. La destra, che un chirurgo gli aveva amputato due anni e mezzo prima, quattro dita sotto il ginocchio, in seguito a una cancrena seguita a un grave Incidente, seppellendola poi nel cimitero dell’ ospedale, era tornata incredibilmente al suo posto. La fossa dov’era stata gettate fu ritrovata aperta, e vuota. E la gamba era proprio la sua, riconoscibile dalle cicatrici di un morso di cane di qualche anno prima. Così almeno scrisse un regio notaio quattro giorni dopo, sul suo registro. Così giurarono “su Dio, la Croce e i 4 Evangeli” rischiando la pene di morte, decine di testimoni oculari interrogati pochi giorno dopo dal tribunale canonico, mezzo laico e mezzo ecclesiastico. Tra questi il chirurgo che con sega, scalpello e ferri roventi aveva eseguito la mutilazione alla fine di ottobre dei 1837, quando il giovane campesino era giunto più morto che vivo con la tibia destra spezzata dalla ruota dei suo carro, dal quale era caduto per un colpo di sonno.
Miguel Juan, 23 anni appena compiuti, secondo degli otto figli di una famiglie dl contadini poveri e analfabeti, viveva a Calanda, un villaggio di un migliaio di anime nella Bassa Aragona, 118 chilometri da Saragozza, nel cuore profondo della Spagna barocca. La Spagna della Santa inquisizione C& Supreme, la chiamavano terrificati gli Spagnoli) e della Guerra dei Trent’anni contro l’altra superpotenza cattolica d’Europa: la Francia dei cardinale Richelieu. Il chirurgo miracoloso fu subito Identificato dei popolo nella Madonna: in particolare, la Virgen dei Pilar, la Vergine dei Pilastro, “titolare” dell’omonima basilica di Saragozza nonché patrona della Spagna e di tutta l’Hispanidad. Miguel le era molto devoto: ogni sera ungeva il moncherino con l’olio delle lampade votive della Virgen, convinto che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto. E infatti, pare, qualcosa accadde.
La trama dell’enigma è tutta qui, semplice e sconvolgente, come vien fuori dall’ultimo libro dello scrittore cattolico Vittorio Messori appena pubblicato da Rizzoli (Il miracolo, pp. 254, £. 28.000), che l’ha riesumata dalla polvere dell’oblio con tanto di documenti. Un caso di autotrapianto decisamente fuori stagione, tre secoli prima che la chirurgia moderna tentasse I primi esperimenti In materia, 358 anni prima che all’ospedale di Lione un uomo entrasse monco di una mano e ne uscisse con due. Leggenda metropolitana (anzi contadina)? Impossibile: atti notarili, carte processuali, testimonianze di prima mano, documenti ufficiali, gazzette e opuscoli storici dell’epoca attestano che effettivamente Il nostro uomo fu visto trascinarsi su una gamba sola per 29 mesi e poi saltellare di nuovo su due, sbalordendo la Spagna intera e più di una diplomazia europea. E allora delle due l’una: o Il più Incredibile miracolo della storia cristiana dopo la resurrezione di Cristo, o la più colossale truffa mai architettata ai danni dei credenti. Anzi, creduloni.
La gamba di Bunuel. Calando è un pueblo secco e arso, con le case bianche e povere, che pare uscito da un western all’italiana o da una cartolina della Palestina, Tutt’intorno il deserto di Aragona, dove la pioggia è ancor più rara dei turisti. Le rare guide che si ricordano di questo villaggio di 3500 abitanti lo fanno per segnalare che ‘diede I natali a Luis Bunuel’. Oppure che è famoso per l’olio, le pesche, i laterizi e una corrida speciale’. Del Gran Milagro, del Milagro de los Milagros -come fu subito chiamato lo strano caso di Miguel Pellicer nessuna traccia visibile. A meno che non si entri nella chiesetta parrocchiale, costruita a metà dei Seicento sulla casa dello storpio sanato e poi distrutta dai rojos anarco-trotzkisti durante la guerra civile di 50 anni fa. Sopra il portale la statuetta della Virgen del Pilar sormontate -ma bisogna aguzzare la vista- da una patacca con una gamba scolpita, una specie di stivaletto. Dentro, una cappellina laterale con un affresco -piuttosto bruttino- sul presunto miracolo, chiusa da une cancellata: vietato l’ingresso ai non preti, pena la scomunica. II curato sta allestendo,nella torre campanaria, un muselto sull’evento: poca roba, però. Niente mercatini del sacro, niente gadget miracolistici, niente effetto Lourdes. Non che i calandinos non credano nel prodigio: anzi. Semplicemente lo trovano normale: “Dalla Virgen del Pilei questo e altro, lodo reguiar, e chi vuole ricordare l’evento e ringraziarne la Madonna va a Saragozza, in cattedrale. A cento metri dalla capilla, sul budello centrale del paese, un balcone con baldacchino carminio; è la casa natale di Luis Bunuel. “Era un anticlericale, un rojo”, ricorda un vecchio del villaggio, “ma alla Virgen era devoto, e ancor più al Gran Milagro. Ogni anno tornava qui per la Settimana Santa, ovunque si trovasse”. Già, perché nella settimana santa Calanda si trasforma: la gente scende in piazza e, per due giorni e due notti, picchia ininterrottamente sui tamburi per ritmare il terremoto che secondo i vangeli avrebbe accompagnato la morte di Gesù. In un’intervista Bunuel -figlio di un ricco notabile calandino- rivela che un suo avo acquistò le stampelle di Juan Pellicer e ne ricavò delle bacchette per i tamburi. Era davvero ossessionato, da quella gamba, Bunuel. Nel film “Tristana” del 1970 racconta la storia di una donna zoppa, della sua gamba amputata e della protesi ortopedica che l’ha rimpiazzata. E Catherine Deneuve, la protagonista, passa e ripassa davanti a un inesistente negozio di Toledo che vende gadget mariani del Pilar. In un’altra Intervista, il regista rivela che suo padre aveva fatto costruire un carro con la statua di Miguel, portata in processione ogni 29 marzo dai suoi braccianti. Esalta addirittura la “saldezza granitica” del miracolo e, In un empito di campanilismo, aggiunge: “AI confronto di Calanda. Lourdes é un luogo mediocre”.
La parola al notaio. Naturalmente esagerava, Bunuel. Ma di sicuro aveva consultato un paio di documenti che, scampati alla furia iconoclasta dei ‘giacobini” napoleonici e poi dei rojos repubblicani, sono tutt’oggi disponibili a Saragozza, nell’archivio del Pilàr e nel municipio che gli sorge accanto. Il primo è Il verbale completo del processo canonico che si concluse con la proclamazione dei miracolo il 27 aprile 1641, Settantatrè fogli rilegati In pelle e decorati in oro, con l’interrogatorio completo dei 24 testimoni torchiati pubblicamente dei giudici per undici mesi, alla presenza dei sedicente miracolato; e, in appendice, la sentenza dei vescovo Pedro De Apaolaza. Ce lo mostra il bibliotecario della cattedrale, don Tomàs Domingo Pérez, storico e teologo, un monsignore vigoroso e gioviale che studia il caso Pelliser da trent’anni senza pubblicare una riga: un po’ perché non è mai contento, un po’ perché un qualcuno gli ha predetto jettatoriamente che la sua opera prima sarà anche l’ultima. II secondo documento è ancor più fresco: fu stilato appena quattro giorni dopo da Miguel Andrèu, ‘notaio reale” di Mazaleòn, un villaggio ad est di Calanda, portato sul luogo dei presunto miracolo dal suo parroco un po’ scettico, che voleva vederci chiaro. Il notaio senti come testimoni dieci persone scelte tra i non nativi di Calanda. Poi stese il suo rapporto. Il suo registro dei 1640, rilegato in pergamena, è conservato in una vetrinetta dei municipio di Saragozza, aperto alla data del 2 aprile; una pratica per l'”Imposizione di un censo da 25 soldi”, poi quattro fogli scritti fitti e intitolati “Acto publico milagro que se hizo en Calanda”.
E chissà se Bunuel aveva visto anche un terzo papiro: l’informaciòn sumaria inviata dal giudice (il Justícia) di Calanda, Martin Corellano,ai suoi superiori che subito lo trasmisero al palazzo dell’Alcazàr, a Madrid, sul tavolo dei famoso duca-conte De Olivares, il braccio destro di re Filippo IV. E re Filippo IV, nell’ottobre 1841, convocò a corte Juan Pellicer, lo pregò di scoprire la gamba riattaccata e s’inginocchiò per baciare la cicatrice: un cerchietto rosso proprio quattro dita sotto il ginocchio. Il tutto sotto gli occhi dei corpo diplomatico, compreso l’ambasciatore d’Inghilterra il quale, pur anglicano, relazionò ai teologi della corte di Londra, ovviamente scandalizzati. Di quell’udienza straordinaria, padre Tomàs ha scovato una traccia curiosa; la fattura di pagamento, da parte del capitolo del Pilar, di un vestito buono per rimettere all’onor del mondo lo straccione miracolato.
Di sicuro Bunuel aveva ascoltato le ballate dei cantastorie ciechi, i quali per secoli hanno raccontato a tutta la Spagna lo strano caso del “cojo (zoppo) de Calanda”. E aveva visto i quadri d’epoca che ritraevano Miguel Pellicer in tutte le pose; prima, durante e dopo la cura (il dipinto più antico, del 1654, é appeso nella basilica di Saragozza, dietro la cappella della Virgen, sotto le volte affrescate da Francisco Goya). Tra documenti, opere d’afte e tradizione orale, aveva le prove -come le abbiamo noi- che lo storpio dl Calanda era davvero esistito, aveva subito quella mutilazione, aveva mendicato per due anni e mezzo all’ingresso della basilica del Pilar col moncherino bene in vista, finchè un bel giorno era stato visto camminare su due gambe, come se nulla fosse accaduto.
Le prove documentali si fermano qui. Non possono e non potranno mai dimostrare il miracolo. Resta l’ipotesi della bufala. Ma architettata da chi? Da Miguel beffare la Spagna intera, magari per assicurandosi un’agiata vita da miracolato? A parte la difficoltà di dotarsi di una protesi così perfetta da sembrare una gamba vera, ci sono decine di testimonianze contrarre: compresi I concittadini che toccarono la gamba riattaccata, compreso il chirurgo che l’aveva amputata, compreso il medico che a tradimento gli conficcò uno stiletto da salasso nella coscia destra per vedere se per caso era di legno (invece ne usci parecchio sangue). E poi, passata l’euforia, Juan tornò a fare l’accattone, fuggì dal paese per scollarsi di dosso quella fama più grande di lui, fece vita da vagabondo un po’ sbandato e mori poverissimo sette anni dopo a Velilla de Ebro, un paesino a sud di Saragozza, dimenticato da tutti. E dire che aveva in mano una storia che avrebbe fatto gola alle Cronaca Vera, ai Costanzoshow e ai Carràmbachefortuna dell’epoca.
Rimane qualche altra possibile spiegazione, Pellicer aveva un fratello gemello? Dai registro dei battesimi e dalle testimonianze processuali, Miguel nacque “da solo”. Un’allucinazione collettiva dei calandini?
Macchè, quasi tutti i testimoni venivano da fuori; e l’Inquisizione, sempre a caccia di “superstizioni” da processare e di impostori da arrostire, sarebbe certo Intervenuta. Un’abile mossa della pro loco di Calanda per lucrare sul milagro? Non risulta che sia mai stato fatto. Un complotto dei canonici del Pilar per accreditare la loro basilica come unica vera cattedrale della diocesi di Saragozza, contro la rivale dedicata a El Salvador, detta La Seo? Assurdo: il vescovo parteggiava sfacciatamente per la seconda, ed escluse appositamente i canonici del Pilar dalla giuria dei processo canonico, tutta composta da anti-pilaristi, Una trovata propagandistica del Re della cattolicissima Spagna, che le stava buscando in guerra dalla cattolicissima Francia, retta per giunta dal cardinale Richelieu?
Improbabile: il presunto miracolo di Calando, unico e straordinario in sedici secoli di storia cristiana, poteva diventare un’arma letale per dimostrare che il Cielo tifava per la Spagna. Ma non lo diventò, anzi cadde subito nel dimenticatoio.
Il giallo resta insoluto. L’assassino non si trova. Ma ce n’è già abbastanza per mettere in crisi due scettici per antonomasia come Emile Zola, che in una celebre corrispondenza; da Lourdes invocò beffardo “un monco con l’arto ricresciuto”; e come Voltaire, che scrisse ironico: “Si esaminano miracoli, solo se forniti di atto notarile”. Lo stesso Messori, che pure ai miracoli ci crede fin troppo, ammette di esser rimasto spiazzato: “In tutti i grandi miracoli della storia, Dio rispetta sempre il libero arbitrio. Procede per chiaroscuri: lascia quel tanto di luce che serve ai credenti per credere, e quel tanto di buio che consente ai dubbiosi di continuare a dubitare. Ma Calanda no. A Calanda non vedo buio. Forse, quella volta, al Padreterno è scappata la mano”. La gamba, la gamba.
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