Ritorno all’Avvenire?
Per tutto il 2000 e fino al settembre del 2001, la serie consueta di articoli che Messori pubblica su Jesus si sdoppia. Chiuso il Taccuino mariano (che, come dicevamo, è in attesa di pubblicazione, ma non giace inerte perché la ricerca continua), cominciano gli Incontri. Si tratta di una serie di colloqui con i responsabili delle comunità religiose, maschili e femminili, per individuare i problemi, i progetti, le speranze, i timori della vita religiosa oggi.
A questa lunga intervista mensile, lo scrittore affianca una pagina sotto la testatina di: ABC: Un sillabario cristiano. Ogni volta, viene scelta una parola e si cerca di darne al lettore una interpretazione cattolica, precisando che si tratta di una prospettiva che non ha alcuna pretesa di “autorità “o di esclusione di altri punti di vista, del tutto legittimi nella Chiesa: semplicemente, vi è -qui- sottoposto all’attenzione e alla discussione quanto a Messori sembra di avere compreso della katholische Weltanschauung.
A partire dal settembre del 2001 cessano gli Incontri, mentre continua il Sillabario cristiano. Ad esso è ora affiancata la nuova serie detta La bussola. Si tratta, in qualche modo, di una ripresa del famoso Vivaio: in effetti (come già accennavamo) erano numerosi i lettori non ancora rassegnati alla fine della famosa rubrica e che continuavano a chiederne una ripresa.
Ma dietro la sua ripresa in Jesus (e la riproposizione, come vedremo, con lo stesso titolo di Vivaio, nel mensile Il Timone, a partire dal gennaio 2004) c’è un retroscena di cui ci parla lo stesso scrittore.
Racconta Messori: “Alla fine, dopo tante insistenze (e dopo essermi consultato con fratelli nella fede in grado di darmi un consiglio spirituale prima che professionale), ho cominciato a sospettare che, se non avessi raccolto un invito tanto vasto e ripetuto, ne avrei portato una responsabilità. Quasi un “peccato di omissione”? Non so. So che un giorno, nell’autunno dell’anno giubilare, ho chiesto un colloquio al direttore di Avvenire, Dino Boffo, che non rivedevo da tempo. Con schiettezza pari all’amicizia gli ho detto del mio problema, anche di coscienza, del materiale che raccoglievo come se ancora dovessi fare la rubrica e che da anni si accumulava, inutilizzato, in un armadio. Gli ho dunque chiesto se avrebbe accettato la ripresa del Vivaio. Boffo è stato non solo cortese ma, me lo si lasci dire, fraterno ed affettuoso. Innanzitutto mi ha ricordato (ed aveva ragione) che, quando decisi di interrompere la rubrica, lui era vice direttore e mi chiese insistentemente di non farlo. La mia decisione era stata subìta a malincuore da lui e dal direttore, l’ormai scomparso Lino Rizzi. Era disposto a dimenticare del tutto quel mio improvviso abbandono e si diceva contento della ripresa di un colloquio con i lettori del suo giornale, molti dei quali, come anch’egli sapeva, erano nostalgici di quegli appuntamenti. Boffo era così motivato (e ne sono certo, così sincero, anche se un po’ sorpreso) che subito mi propose una sorta di piano tecnico ed amministrativo per un pronto riavvio della pubblicazione. Naturalmente, come già avvenuto durante gli anni della prima serie, il mio impegno con Avvenire si sarebbe affiancato a quello con Jesus e non l’avrebbe sostituito. Fui però io a consigliare prudenza, ricordandogli come il mio nome, in campo cattolico, non raccogliesse certo unanimità di consensi: affetto in molti, ma diffidenza, se non ostilità, in altri.
Gli raccomandai dunque di pensarci e di consultarsi. Prima di ributtarmi nell’avventura, volevo essere certo che non sarebbe stata interrotta bruscamente (e questa volta non per mia iniziativa) e, soprattutto, che non fosse motivo di polemiche o di lacerazioni in una Chiesa che deva fronteggiare già tanti altri problemi. Boffo mi assicurò che l’avrebbe fatto ma, congedandoci dopo il lungo e amichevole colloquio, si disse sicuro che tra pochi giorni mi avrebbe telefonato per dare il via libera. Invece, i giorni passarono e soltanto dopo un paio di settimane mi giunse non una telefonata ma una lettera in cui il direttore –rammaricato e insieme un po’ imbarazzato– mi diceva che dopo le riflessioni e le consultazioni che io stesso gli avevo raccomandato, s’era reso conto che un nuovo Vivaio avrebbe rappresentato per Avvenire un problema, visto il difficile equilibrio tra varie “anime” ecclesiali che il quotidiano cattolico deve ogni giorno praticare.
Gli risposi subito, ringraziandolo di quanto aveva fatto e raccomandandogli di non preoccuparsi e di non sentirsi in alcun modo a disagio: quasi per un sgravio di coscienza gli avevo prospettato la mia intenzione ma, come i fatti dimostravano, avevo le mie buone ragioni nel consigliargli di rifletterci bene perché, in qualche modo, mi attendevo la conclusione”.
Continua Messori: “Se racconto questo episodio è solo per confermare quanto sia singolare, oggi, il clima ecclesiale: le pagine dei maggiori giornali laici mi sono spalancate, da molte parti mi si chiede con insistenza di collaborare, mentre mi sono chiuse le pagine del quotidiano dei vescovi, malgrado il desiderio del direttore di ospitarmi.
Del resto, uno dei pochissimi giornali che, da molti anni, non pubblica mai le recensioni dei miei libri, che per esso non esistono, è quello ufficioso della Santa Sede. Non me ne faccio certo un merito ma neanche un cruccio, anche perché devo riconoscere che sono io stesso a cedere talvolta a espressioni e atteggiamenti che sembrano (e magari sono) sgradevoli in un certo ambiente clericale.
Basterebbe, da parte mia, un po’ più di prudenza, di diplomazia, di disponibilità, magari (lo dico a mio disdoro) di generosità: tranne rare eccezioni, ad esempio, ho rifiutato gli inviti a iniziative prese dalla “macchina“ vaticana, come convegni o altro organizzati da congregazioni e segretariati.
Troppe volte ho replicato con battute, se non battutacce, a proposte serie e fattemi con cortesia. Confesso (e questa volta con disagio se non un po’ di vergogna) di avere rifiutato anche l’invito –che mi giunse direttamente dalla segreteria di Giovanni Paolo II– di scrivere i testi per una Via Crucis pasquale in mondovisione, dal Colosseo. Si sa che il papa ha deciso di affidare quelle meditazioni a scrittori.
Un anno, la richiesta giunse a me. Devo dire, però, che il mio rifiuto di quella volta fu determinato da una sorta di spavento: chi sono io, cronista scalcagnato e, purtroppo, spesso semplice aspirante cristiano, per proporre al mondo intero, in diretta tv, riflessioni spirituali sul dramma cosmico della Passione? Così, arretrai spaventato: per doverosa umiltà o per colpevole pusillanimità?
“Non so ancora decidermi. E’ comunque chiaro che non solo non coltivo nessuna complesso di persecuzione, ma sono pronto a riconoscere di avere ricevuto tanto, forse troppo, dentro alla Chiesa stessa, una Chiesa del cui mistero sono affascinato ma che talvolta ho un po’ snobbato nel suo aspetto istituzionale. Non ho nulla da “perdonare” ad alcuno ma, semmai, ho io da essere perdonato per avere spesso mancato di pazienza e di tatto con uomini dell’apparato ecclesiale della cui buona volontà e sincerità sono sicuro. Malgrado i limiti, i difetti, le piccolezze, le colpe (a cominciare, s’intende, da miei e dalle mie) la Chiesa cattolica è ancora –lo dico per ormai lunga esperienza– l’ambito del mondo in cui più ci si sforza di praticare la più bella e oggi la più rara di tutte le virtù: la bontà. Assieme alla giustizia e all’onestà. Nessuna lagna, dunque, per le porte chiuse da Avvenire: come scrivevo a Boffo, ero io il primo a riconoscere che non avrebbe potuto, probabilmente, fare in modo diverso”.
Il nuovo vivaio
Comunque, circa un anno dopo, ormai terminato il ciclo degli Incontri, il Vivaio che il quotidiano cattolico non aveva potuto ospitare ricominciava –seppure con una periodicità e un programma un po’ diversi– sulle pagine di Jesus, a conferma della disponibilità, malgrado tutto, del mondo cattolico. Anche di quello, magari, con sensibilità e stile diversi da quello di Messori che, nel frattempo, il 16 aprile del 2001 ha compiuto 60 anni.
Commenta:”Sono entrato in quella che, con un eufemismo consolatorio e dunque ipocrita, si chiama “terza età“, come se l’età dell’uomo fosse 90 anni. In realtà –ammesso e non certo concesso che mi riesca di rispettare la statistica– mi restano meno di 15 anni, visto che l’età media per il capolinea del maschio europeo è tra i 73 e i 75 anni. Sono conti che nessuno vuole fare, oggi; spesso, neppure uomini di Chiesa che, magari a 80 anni suonati, commentano l’attualità, fanno progetti, parlano di tutto ma non di morte: quella loro, imminente. In fondo, quasi tutta la pastorale della Chiesa di oggi, con il suo appello all’impegno socio-politico -economico, è per i giovani e sani; e il giovanilismo è al centro del politically correct clericale.
E’, questo, uno degli aspetti attuali ecclesiali che meno mi entusiasmano e più mi preoccupano. Comunque sia, potrebbe non farli, simili conti con la sua non lontana fine (al massimo, qualche migliaio di giorni) l’autore di Scommessa sulla morte? Dunque, per dirla con la Scrittura, sono del tutto consapevole il tempo si è fatto breve. E già la salute –che sinora quel Dio che, davvero, con me è stato sempre “tardo all’ira e pronto al perdono” mi aveva assicurato con generosità– mostra cedimenti premonitori, segni che preludono al declino e, dunque, alla fine. Da qui il concentrarmi su qualche progetto di libro che davvero giudichi utile a qualcuno, dicendo più che mai “no” alla dispersione di collaborazioni giornalistiche fine a se stesse o a futilità come convegni, tavole rotonde, viaggi non indispensabili, premi, onori, “mondanità “ varie ed altro. In realtà, questo “no” l’ho sempre detto; ma ora è divenuto ancor più rigoroso. Se dessi ascolto alla mia tentazione farei il contrario di quanto non facciano gli “intellettuali”, e tanto più quanto sono noti e prestigiosi: rifiutano, cioè, con ostinazione senile, di farsi da parte, di andare in pensione. C’è da capirli: aggrapparsi al lavoro è un modo per cercare di esorcizzare la morte, di rimuovere il pensiero della fine, con tutti gli interrogativi (consolanti per alcuni, ma terribilmente inquietanti per altri ) che un simile pensiero suscita. In questo modo, però, finiscono spesso col dissipare –nelle ripetizioni e nelle fissazioni inevitabili nella vecchiaia– il patrimonio di credibilità accumulato in una vita. Io, in pensione, ci andrei subito, smettendo di scrivere (attività disumana, quindi terribilmente faticosa) e dedicandomi alla lettura, che invece adoro e che mi riempirebbe gradevolmente gli ultimi anni. Paradossalmente, l’eccesso di libri maneggiati per tutta la vita mi ha tolto la possibilità di leggere: ogni volume, per me, è stato sinora uno strumento di lavoro, da esaminare, spolpare, annotare, utilizzare. Che gioia sarebbe il tornare a quei piaceri del libro che ho conosciuto solo al tempo delle grandi letture dei classici francesi, russi, anglosassoni, nell’adolescenza! Che gioia fare il devoto che, tra altri devoti, va in pellegrinaggio in quei santuari, soprattutto mariani, che così amo e ci va per pregare, pensare, cantare senza preoccuparsi del pedaggio di quanto deve scrivere dopo! Ho una gran voglia di anonimato, di non dovere firmare dediche o esprimere sempre e comunque opinioni che poi finiscono sui giornali. Questo, peraltro, è un desiderio che ho da sempre: il primo libro volevo firmarlo con uno pseudonimo, che avevo già trovato. Avevo, infatti, scoperto che un perfetto anagramma del mio nome e cognome suonava come Remo Rossiviotti o, a scelta, Rossi Viotti.
Insistetti con il salesiano Francesco Meotto, allora direttore editoriale della SEI, per figurare così in copertina: bello, da sconosciuto, stare a guardare che succedeva a un tuo libro che tutti attribuivano a un altro! Che c’è di più comodo di scrivere best seller internazionali senza doverne pagare le conseguenze in una popolarità che solo gli sprovveduti possono desiderare? Don Meotto non me lo permise: e, con tutta l’amicizia e la stima che ho per lui (già passato dall’altra parte, con il suo don Bosco), gliene ho sempre voluto un po’ per questo divieto. Mia moglie, comunque (e, devo dire, anche qualche persona di sicura spiritualità e del cui consiglio mi fido) mi dicono che non ho ancora il diritto alla pensione, che devo almeno cercare di completare il programma minimo di lavoro. Vado dunque avanti, finché mi sarà dato di sentirmi lucido e in grado di dire qualcosa che sinora non avevo detto. Alla prima ripetizione (pensiamo agli imbarazzanti articoli e libri di certi vecchi “maestri”, fatti ormai con la fotocopiatrice o con i ricordi, mille volte ripetuti, di cose remote) capirò che è il momento di congedarmi. E non mi si dica che ho il “dovere” di continuare perché altri non vogliono o, magari, non sanno fare questo lavoro! Gesù mette in guardia chi si ritenga “indispensabile”, affermando che Dio “può trarre dalle pietre dei figli di Abramo“. Così, in fondo, è avvenuto con me, con quel giovane che ero e che tutto pensava di fare nella vita tranne che “lo scrittore cattolico”… Ero una “pietra” e senza che alcuno lo avesse programmato (io meno che mai: anzi!) sono stato costretto a scrivere certe cose. Dunque, a sorpresa, avverrà così in futuro con altri, com’è sempre successo. E sempre sono stato consapevole che la Chiesa c’era, per fortuna, prima di me e ci sarà dopo di me. Ciascuno, in questa Chiesa, deve lavorare al posto cui è chiamato : prendendo sul serio il più possibile il suo impegno e il meno sul serio possibile se stesso, nella consapevolezza che è Dio che dispone e che fa”.
Continua però Messori: “E’ singolare che – pur del tutto conscio della mia età e del tutto allergico a travestirmi da giovane – non riesco a dire “ai miei tempi”. I miei tempi li sento questi, proprio questi che viviamo: non solo non ho alcuna nostalgia per il passato, ma ho un brivido di raccapriccio se penso alla bigotta Italia democristiana, quella del mitico schiaffo di Oscar Scalfaro a una signora scollata al ristorante o dei mutandoni alla ballerine in tv. Amo questa Open Society, questa società aperta, come la chiamava Karl Popper, poiché amo la libertà del Vangelo e la sua morale proposta e non imposta. So che non può esserci virtù vera senza la possibilità di optare per il peccato. Mi piace la vita come avventura, dove santi e mascalzoni si intersecano, dove si confrontano il bene e il male. Amo –come dicevo– le metropoli, le giungle d’asfalto e mi angoscia invece la vita come caserma dei fascisti, come falansterio sociale dei comunisti, come casetta di Biancaneve degli ecologisti, come convento o seminario obbligati dei clericali. Tutti i miei libri, del resto, li ho scritti pensando all’uomo della città secolare. Non ho alcuna riconversione da fare a questi “tempi nuovi”, che ho sempre sentito come i miei, anche quando altri nella Chiesa cercavano, spaventati, di contrastarli. Anche questo mi fa sospettare (e spero di non sbagliarmi) che non sia ancora arrivato il diritto alla pensione, il tempo di guardare dal di fuori un mondo che non si comprende più. Se non mi illudo, questo tempo mi sembra di capirlo benissimo e mi ci muovo ancora come un pesce nell’acqua. Dove invece mi sentirei fuori posto sarebbero i passati (ma poi non troppo) tempi in cui ogni peccato era anche reato e in cui l’occhiuto parroco ti sorvegliava e magari pretendeva dal sindaco la chiusura di osterie e caffè nell’ora della messa grande…”.
Quegli occhi sulla storia
La penultima fatica di Messori (autunno del 2001) è scritta a quattro mani con Rino Cammilleri: questi ha curato la prima parte, di ricostruzione storica, mentre è del Nostro la lunga intervista in cui ha sintetizzato molti anni di riflessione su una possibile “teologia della storia“, basandosi, qui, in particolare sulle date e sui luoghi delle apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa. Il libro esce dalla Rizzoli (come già Il Miracolo) ha per titolo Gli occhi di Maria e intende richiamare l’attenzione su eventi inauditi nella storia cristiana eppure o dimenticati o spacciati sbrigativamente, magari anche da storici in clergyman, come “fenomeni di allucinazione collettiva” se non “ frutti di superstizione”. In realtà, ci troviamo di fronte a un rigoroso e lungo processo canonico, concluso con una sentenza positiva, senza esitazione. Si tratta di quanto avvenne nel 1796 negli Stati pontifici, e in particolare a Roma, all’irruzione dei feroci saccheggiatori al seguito di Napoleone Bonaparte. Cominciando dal duomo di Ancona, proprio la vigilia dell’arrivo dei giacobini francesi, centinaia di immagini –soprattutto mariane e soprattutto a Roma, dove ci furono più di cento casi – si “animarono”, aprendo o chiudendo gli occhi, cambiando colore ed espressione. I fatti furono attestati da centinaia di migliaia di persone, molte delle quali scienziati o stranieri non cattolici o non cristiani. Il Bonaparte stesso ne fu testimone e ne rimase scosso. Insomma, ancora una volta Messori –in coppia, qui, con Cammilleri, il ben noto e apprezzato autore di una ventina di libri cattolici– riporta alla luce un aspetto della storia cristiana che, ben lungi dall’essere anacronistico , può lanciare messaggi illuminanti sulla nostra attualità.
Maguzzano
Dice lo scrittore: “I prossimi libri, se mi sarà dato tempo e salute per farli, saranno pensati e scritti non più (o non solo) nella biblioteca al piano terreno della mia casa nel centro di Desenzano. In effetti il computer, ormai così centrale per la vita professionale, l’archivio e le opere di consultazione che impiego più spesso saranno trasferiti a un tre chilometri da qui, nell’antica abbazia già benedettina (ora dell’Opera di san Giovanni Calabria) di Maguzzano. Luogo singolare, in una splendida posizione sul lago, in una campagna minacciata di lottizzazioni ma per ora ancora quasi intatta, con un bel chiostro ricostruito in un anno fatale, il 1492. Ma non è per ragioni estetiche o, meno che mai, “da verde“ che ci vado. Perché, allora, ho corteggiato a lungo i miei amici, religiosi calabriani, per ottenervi qualche locale da adibire a studio? Ma perché credo nel genius loci, perché in quel luogo, da oltre mille anni, pur con i peccati, i limiti gli errori che tutti ci contrassegnano, si è cercato, malgrado tutto, di prendere sul serio il vangelo. Perché mi piace sentirmi inserito, nella mia piccolezza, nella storia di una fede che non vuole arrendersi e che quando sembra ormai esausta ha la forza di risollevarsi e di ricominciare con vigore sorprendente. Maguzzano, come ogni abbazia così antica (gli inizi, qui, sono dell’epoca di Carlo Magno) ha conosciuto distruzioni, abbandoni, decadenze , confische, occupazioni, soppressioni. Eppure, ogni volta la fede, ostinata, ha saputo risollevare le mura, ricostruire la chiesa, riedificare il coro e il chiostro, riprendere il cammino. Veniamo da lontano, noi cattolici: anzi siamo, almeno in Occidente, quelli che vengono da più lontano nel tempo. Nessun altro era qui quando ancora regnava la pax romana proclamata da Augusto . Ci siamo ancora. E ci saremo (anche se non sappiamo come ridotti: e se saremo solo un piccolo gregge e l’imponente barca di Pietro sarà ridotta a una zattera, non ci sarà da stupirsi o da lagnarsi, perché è vangelo) ci saremo pure alla fine della storia. Ecco, riflettere sul vangelo in un’antica abbazia che ha vissuto buona parte di questo cammino era importante, per me. Considero un dono –dal quale cercare di trarre il più possibile frutto– questo, che forse è il mio ultimo trasloco”.
Mondadori
Il 2002 è l’anno di un nuovo caso editoriale. Ne è protagonista, in prima persona, l’erede della più importante “dinastia” editrice italiana, Leonardo Mondadori, il quale manifesta a Messori l’intenzione di scrivere un piccolo “catechismo” con la collaborazione del proprio direttore spirituale.
Il “fiuto” di Messori lo porta a suggerire all’amico editore -convertitosi da qualche anno al cattolicesimo ed avvicinatosi, sia pure senza farne parte, all’Opus Dei- di canalizzare questo suo desiderio di comunicare in un racconto del proprio approdo alla fede cattolica e, quindi, in un libro dal taglio più esperienziale ed autobiografico.
Mondadori acconsente ed i due si recano nei possedimenti pugliesi dell’editore, per raccogliere questa straordinaria “confessione”. Nasce così Conversione, una storia personale straordinario racconto degli ultimi anni di vita di Leonardo Mondadori, un libro di grande successo e di eccellente diffusione.
L’opera si rivelerà, peraltro, una sorta di “testamento spirituale” di Mondadori, il quale morirà il 13 dicembre di quello stesso anno, sconfitto dal cancro che lo aveva colpito subito dopo il suo approdo alla fede.
Le nuove sfide
Il 2002 è caratterizzato anche dal clamore suscitato dalla anticipazione, fatta da Messori sul Corriere, della decisione del Papa di non ritirarsi dal ministero petrino in ragione delle sue difficoltà di salute.
Messori e la moglie Rosanna nel salottino della loro casa: sullo sfondo le copertine delle traduzioni dei libri e delle prefazioni curate dallo scrittore.
L’articolo di Messori rende viene autorevolmente e implicitamente “confermato” dal Papa stesso durante il suo intervento, in Piazza San Pietro, per la festa dei SS. Pietro e Paolo.
Il 2003 è un anno apparentemente poco “significativo” per Messori, il quale continua ad essere impegnato nelle sue collaborazioni giornalistiche, con alcune importanti svolte.
La prima, sul piano giornalistico, è l’approdo al Timone, la giovane ed agguerritissima rivista di apologetica diretta da Giampaolo Barra, dove il nostro riprende i suoi fortunatissimi Vivai.
La scelta dello scrittore porta, inevitabilmente, a limitare il suo impegno per Jesus, nel quale -tuttavia- Messori mantiene una gustosa rubrica sui “suoi” libri, dedicata alle opere letterarie o saggistiche che lo hanno più colpito e influenzato.
La seconda è l’inizio della stesura di un libro sulla “sua” Torino, la città in egli è cresciuto e s’è formato. In questa “impresa” letteraria, lo scrittore è affiancato dal brillante inviato del Corriere della Sera (già a La Stampa), Aldo Cazzullo. Il libro ha una storia complessa e tormentata: nasce come intervista per poi svilupparsi in due distinti e complementari saggi sul capoluogo piemontese.
Torino ed il suo “mistero”
Il saggio messoriano (pubblicato nel 2004), tuttavia, non può dirsi esattamente tale: esso rappresenta infatti un intenso pellegrinaggio della memoria fra i luoghi e i ricordi dello scrittore in cui ci sarà dato di scoprire un Messori assolutamente inedito, e non solo perchè il libro non è di argomento strettamente religioso.
In questo senso, il libro è un ibrido doppiamente inclassificabile e, al tempo, non meno intenso ed avvincente, sospeso com’è fra cultura laica e cattolica, fra l’autobiografia (e la biografia di tanti personaggi e “cose” torinesi) ed il saggio storico -culturale, denso di riflessioni ed approfondimenti su questa “capitale altra” di un Italia che, senza Torino, non sarebbe certamente la stessa…
L’oceano mariano
L’anno de Il Mistero di Torino precede il 2005, nel quale Messori è protagonista di ben due operazioni editoriali.
La prima è la pubblicazione del memoriale autobiografico di Edgardo Mortara, il “bambino rapito da Papa Pio IX”, al quale si ispira la secolare polemica di ambienti ebraici e laicisti contro la Chiesa del Risorgimento ed oltre. Polemica nella quale, fino ad allora, tutto è stato detto da tutti tranne che, appunto, dal diretto interessato.
La cui conversione fu sincera e coltivata per tutta una vita, confluita nei voti presi dal Mortara presso i Canonici Lateranensi ed in una commovente devozione filiale proprio verso il papa Mastai-Ferretti, che Edgardo difende proprio dalle accuse di quegli anni con vigore e fervore non solo apologetico.
Ma quel 2005 è soprattutto l’anno di un libro attesissimo: il Taccuino Mariano, pubblicato anni addietro su Jesus a puntate mensili, confluisce in Ipotesi su Maria, il cui titolo -volutamente- riprende quello del primo libro dello scrittore, il quale così salda una sorta di “debito” verso i lettori, che da tempo chiedevano la trasposizione in volume di questi appunti mariani.
In queste snelle ma intensissime pagine, Messori opera corposi carotaggi nell’impressionante ed inesauribile “corpus” legato a fatti, aneddoti, riflessioni, tutti ispirati o legati al mistero della Vergine, Madre del Redentore.
Citazioni e conversioni…
Siamo ai nostri giorni.
Nel 2006, Messori è involontario protagonista di un piccolo, ma significativo episodio: nel suo primo libro da Papa, Benedetto XVI cita “Patì sotto Ponzio Pilato?” come volume “importante” per la ricostruzione degli eventi storici della Passione e Morte di Gesù Cristo.
Lo scrittore di Sassuolo è, così, l’unico ad essere citato dal Papa con riferimento ai tanti scritti esegetici o storico ricostruttivi della vita del Cristo: un riconoscimento inusuale e, per questo, assolutamente unico.
Nel 2007, “stanato” dalla pazienza e dall’insistenza del vaticanista de Il Giornale, Andrea Tornielli, inizia la stesura di un libro-intervista nel quale Vittorio Messori racconterà gli eventi ed il contesto della sua conversione al cattolicesimo.
Il libro è uscito nell’autunno del 2008, e si intitola “Perchè credo”, già giunto alla sua seconda edizione.
La curiosità dei molti lettori di Messori sulla sua conversione -da laico ed agnostico studente dell’Università di Torino, a cattolico fervente e praticante- viene così soddisfatta. Ma non mancano, come sempre nei libri dello scrittore, gradevolissime incursioni “laterali”, riflessioni a margine, in un volume che è anche una piccola summa del Messori-pensiero e del suo continuo rifarsi e ritornare al pensiero ed allo spirito della Catholica di sempre.
Un piccolo “bilancio”, se vogliamo, di una vita, prima che di un pensiero, che però non la chiude: lo scrittore, infatti, lancia nel 2008 -su Il Timone ed in occasione del 150° anniversario della apparizioni della Vergine- dieci Vivai dedicati interamente a Lourdes, primi abbozzi di un prossimo e futuro libro, non meno caro degli altri, per l’argomento, allo scrittore cattolico.